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Gli Asteroidi

Indice Argomenti:


  • New Horizon
  • Legge Titius-Bode
  • Fascia Principale
  • Vesta
  • Cerere
  • Trans-Nettuniani
  • Nube di Oort
  • Centauri
  • Troiani
  • Near Earth Objects
  • Scala di Torino
  • Classificazione di Tholen
  • Il lavoro degli Astrofili
  • Immagini Amatoriali
  • Gli asteroidi sono inseriti nella grande categoria dei cosiddetti "corpi minori" che fanno parte del nostro Sistema Solare insieme alle comete e alle miriade di piccoli frammenti rocciosi, chiamati meteoroidi, spesso aggregati in nubi di particelle. In realtà è abbastanza difficile tracciare una netta divisione tra asteroidi e meteoroidi, se non con il criterio delle dimensioni: gli asteroidi più grandi possono arrivare anche a grandezze misurabili in centinaia di km, tuttavia sono molto pochi; oltre queste dimensioni si entra nel regno dei pianeti naniUn pianeta nano è un corpo celeste di tipo planetario orbitante intorno al Sole e caratterizzato da una massa sufficiente a conferirgli una forma quasi sferica, ma che non è stato in grado di liberare la propria fascia orbitale da altri oggetti di dimensioni confrontabili. Il prototipo di questi oggetti è Plutone.. Il limite superiore può essere rappresentato da Cerere con un diametro di circa mille km, quello inferiore è più labile: spesso viene usato il termine "asteroide" anche per frammenti rocciosi di qualche centinaio di metri o anche meno. Anche la differenza tra asteroidi e comete assume sempre di più dei contorni sfumati: alcuni asteroidi sono indubbiamente comete estinte, mentre alcuni altri oggetti mostrano entrambe le caratteristiche a seconda della loro posizione e distanza dal Sole.






    Gli asteroidi, così come le comete, sono stati oggetto negli ultimi anni di intense ricerche da parte di diversi enti spaziali, con missioni di sonde automatiche sempre più sofisticate. Esse non solo sono state in grado di riprendere immagini stupefacenti di questi piccoli mondi ma anche di studiare le loro caratteristiche fisico-chimiche e di prelevare campioni per ulteriori e più approfondite successive analisi.
    Sebbene le prime immagini di oggetti asteroidali siano arrivate nel 1971 da parte della sonda americana Mariner 9, destinata all'esplorazione di Marte, che riprese le due piccole lune di quel pianeta, Phobos e Deimos, assimilabili in tutto e per tutto a due asteroidi, il primo incontro di un manufatto umano con un vero asteroide in orbita intorno al Sole avvenne nel 1991. Fu la sonda Galileo, diretta verso Giove, a fotografare per la prima volta l'asteroide Gaspra, un oggetto irregolare delle dimensioni di circa 12 km che orbita tra Marte e Giove. Dopo quell'incontro la stessa sonda riprese nel 1993 un altro piccolo oggetto, Ida, di cui scoprì anche che aveva un satellite, documentando così il primo caso di un satellite di un asteroide. La prima vera missione dedicata allo studio degli asteroidi fu però la NEAR Shoemaker, lanciata nel 1996 che effettuò un passaggio ravvicinato con l'asteroide Mathilde nel 1997 e riuscì ad atterrare su Eros nel 2001. La missione NEAR era stata progettata dalla NASA per lo studio di una particolare categoria di oggetti asteroidali, i Near Earth Objects (NEO), che transitano in prossimità della Terra e che potrebbero essere potenzialmente a rischio collisione con il nostro pianeta; attualmente se ne conoscono circa tremila, con diametri fino a 32 km.
    Venne poi la volta della sonda Hayabusa dell'Agenzia Spaziale Giapponese, che studiò l'asteroide 25143 Itokawa nel 2005 e riuscì addirittura a prelevare dei campioni dalla sua superficie e a riportarli sul nostro pianeta nel 2010. Nel 2007 venne lanciata la sonda Dawn da parte della NASA con l'obiettivo di esplorare l'asteroide Vesta e il pianeta nano Cerere. La missione ebbe un pieno successo prima con l'esplorazione di Vesta per quattordici mesi a partire dalla metà del 2011, collezionando una grande quantità di immagini e dati scientifici ottenuti orbitando intorno all'asteroide; la sonda lasciò quindi Vesta alla volta di Cerere, il più grande tra gli oggetti facenti parte della fascia di asteroidi che si trova tra Marte e Giove e classificato infatti come "pianeta nano" come Plutone, che raggiunse nel 2015 immettendosi in orbita intorno a esso e inviando a terra un'altra notevole quantità di dati e immagini. La sonda si è disattivata nel novembre del 2018, quando terminò il propellente, e si trova ancora in orbita intorno a Cerere.

    L'asteroide Ida ripreso nel 1993 dalla sonda Galileo durante la sua marcia di avvicinamento verso Giove; questo oggetto ha una forma estremamente irregolare con dimensioni pari a 54 x 24 x 15 km. Una sua particolarità è data dalla presenza di una piccola luna, chiamata Dattilo, di forma ovoidale e del diametro di 1,4 km. Nella mitologia greca i Dattili abitavano sulla cima del Monte Ida.

    L'asteroide Mathilde fotografato dalla sonda NEAR SHOEMAKER il 27 giugno 1997, da una distanza di circa 1.200 km. Questo oggetto fa parte della Fascia Principale degli asteroidi e ha un diametro approssimativo di 50 km; la sua forma è estremamente irregolare e presenta numerosi crateri da impatto, a testimonianza dell'intenso bombardamento meteorico subito nel passato.

    Una delle immagini dell'asteroide Eros catturate dalla sonda americana NEAR SHOEMAKER. La sua forma è molto irregolare, con dimensioni pari a 34 x 11 x 11 km e somiglia ad una gigantesca "nocciolina americana"; fa parte del gruppo di asteroidi Amor, la cui orbita è esterna a quella terrestre e che quindi non presenta particolari rischi di collisione con il nostro pianeta.

    Diverse altre sonde, tra cui anche alcune dirette verso oggetti cometari, hanno incontrato sul loro cammino degli asteroidi, anche la New Horizon che, dopo la sua storica esplorazione di Plutone nel 2015, ha avuto un passaggio ravvicinato con l'asteroide 486958 Arrokoth, soprannominato anche Ultima Thule, il 1 gennaio 2019: si tratta dell'oggetto più lontano mai raggiunto da una sonda costruita dall'uomo, a oltre sei miliardi di km di distanza dal nostro pianeta.

    La sonda spaziale New Horizons dopo aver visitato Plutone nel 2015 fece rotta verso uno degli oggetti facenti parte della Fascia di Kuiper. Fu scelto un corpo celeste che fosse il più vicino possibile alla traiettoria orbitale della sonda, per evitare eccessive correzioni di rotta. L'asteroide Arrokoth soprannominato Ultima Thule, scoperto nel 2014, soddisfaceva questo requisito ed fu effettivamente avvicinato e fotografato dalla New Horizons il 1 gennaio 2019; si tratta quindi delle prime immagini e dei primi dati relativi ad un KBO (Kuiper Belt Object), l'oggetto celeste più lontano mai avvicinato dall'uomo e dalle macchine da lui create.
    Le prime immagini trasmesse alla Terra rivelarono uno stranissimo oggetto, somigliante in qualche modo a un pupazzo di neve, come lo definì il responsabile di missione della New Horizon. Si tratta di due corpi rocciosi simili, di forma schiacciata, uniti insieme da una sorta di "collare" composto da un materiale più chiaro e meno rossastro del resto della superficie. Complessivamente l'asteroide ha una lunghezza di 36 km: le due parti, chiamate "lobi", hanno dimensioni di 21 x 20 x 9 km e 15 x 14 x 10 km, quindi il più piccolo ha una forma meno schiacciata di quello più grande. La composizione superficiale ha rivelato una predominanza di metanolo, ghiaccio d'acqua e una mistura di composti organici, noti come toline, già viste presenti su Plutone e su altri corpi del Sistema Solare esterno come Titano, satellite di Saturno.











    Come già precedentemente accennato, gli asteroidi sono dei corpi rocciosi che orbitano intorno al Sole, sia all'interno sia nelle parti più esterne del Sistema Solare, con dimensioni molto minori rispetto ai pianeti e di forma normalmente non sferica; dalle dimensioni di circa 520 km di Pallas, si arriva alle poche decine di metri per quelli più piccoli. Gli oggetti di dimensioni ancora inferiori sono altresì definiti anche come meteoroidi e si suppone ne esistano una enorme quantità; questi ultimi oggetti sono trattati in maniera abbastanza estesa nella sezione riguardante le meteore di questo stesso sito. Anche gli asteroidi veri e propri sono, in realtà, presenti in un numero elevato; attualmente si conoscono le orbite di circa trecentomila oggetti di questo tipo e si suppone ne esistano oltre un milione, solo nella parte interna del Sistema Solare.

    Nella seconda metà del XVIII secolo, quando ancora non era stato scoperto alcun asteroide, gli astronomi Johann Daniel Titius e Johann Elert Bode formulano una relazione empirica, nota come Legge di Titius-Bode, che esprimeva una progressione numerica che ben si adattava ai semiassi maggiori, espresse in Unità Astronomiche (AU dove AU = 1 è il semiasse dell'orbita terrestre) delle orbite dei pianeti allora conosciuti, ovvero da Mercurio fino a Saturno. La formulazione classica della relazione è:

    $$ a = {{ n + 4 } \over 10} \tag{1} $$


    dove n può assumere progressivamente i valori di 0, 3, 6, 12, 24, ecc. ovvero, partendo da 3, andare sempre a raddoppiare. Si vede facilmente che ponendo n = 0 per Mercurio si ottiene un valore di a = 0.4: il semiasse maggiore dell'orbita di Mercurio è 0.39.. Con 3 si ottiene 0.7 dove Venere ha un semiasse pari a 0.72 AU e con 6 il risultato è 1, ovvero il semiasse dell'orbita del nostro pianeta. Per il pianeta Giove deve essere usato n = 48, ottenendo 5.2 cioé esattamente il suo semiasse maggiore, e con n = 96 per Saturno si otteniene un risultato di 10, mentre il semiasse del pianeta con gli anelli è in realtà 9.54 AU, comunque molto vicino al valore calcolato dalla relazione empirica. Fu possibile facilmente verificare che non era presente alcun pianeta in corrispondenza di n = 24 dove il risultato sarebbe stato di 2.8 AU, in quanto per Marte andava bene il valore di n = 12 che forniva 1.6 dove il semiasse dell'orbita del pianeta rosso è 1.52 AU. La scoperta di Urano nel 1781 non fece altro che confermare apparentemente la legge, in quanto per n = 192 si otteneva un AU di 19.6 e il valore del semiasse maggiore di Urano è piuttosto vicino a tale quantità, ovvero 19.2. Pur non essendo all'epoca in alcun modo giustificata da alcuna teoria, la relazione fu accettata e si iniziò ad esplorare il cielo alla ricerca del misterioso pianeta mancante.

    Nel 1801 l'astronomo italiano Giuseppe Piazzi scoprì dall'Osservatorio di Palermo il primo asteroide, che fu chiamato Cerere in onore della dea romana protettrice del grano e della Sicilia; l'asteroide, riclassificato nel 2006 come pianeta nano, si trovava esattamente alla distanza media di 2.8 AU dal Sole, dove la legge di Titius-Bode aveva previsto la presenza di un corpo planetario. Fu però chiaro fin dai primi anni dalla sua scoperta, che il nuovo corpo celeste era troppo piccolo per poter essere considerato un pianeta vero e proprio: in effetti il suo diametro è solamente di un migliaio di km. Le ricerche quindi proseguirono e furono scoperti una grande quantità di oggetti in quella stessa regione del Sistema Solare, tra le orbite di Marte e Giove; questa zona è stata quindi chiamata Fascia Principale degli Asteroidi.


    Qui a fianco un diagramma che schematizza la parte interna del Sistema Solare e dove viene visualizzata la posizione degli asteroidi presenti in questa regione. La maggior parte di loro si trova concentrata tra le orbite di Marte e Giove, formando quella che viene chiamata Fascia Principale degli asteroidi. Altre concentrazioni si trovano poi in corrispondenza dei punti Lagrangiani dell'orbita gioviana, influenzati dal potente campo gravitazionale del pianeta gigante. In particolare, gli asteroidi che precedono Giove nella sua orbita vengono chiamati greci mentre quelli che lo seguono troiani, in un eterno mutuo inseguimento.

    La legge di Titius-Bode dimostrò però alla fine i suoi limiti quando venne scoperto il nuovo pianeta Nettuno, molto più esterno di Urano, che si sarebbe dovuto collocare a una distanza media di 38.8 AU dal Sole, visto che gli sarebbe dovuto essere assegnato un valore di n pari a 384. Viceversa Nettuno fu trovato a una distanza molto inferiore, pari a circa 30.1 AU.

    Malgrado non esiste tutt'ora una teoria che possa confermare la legge di Titius-Bode, si pensa che essa possa derivare direttamente dai meccanismi di formazione planetaria. Particolarmente interessante è stata l'applicazione della legge al sistema planetario della stella PSR B1257+12, una pulsar (stella di neutroni) in rapida rotazione sul proprio asse, avente una massa paragonabile a quella del nostro Sole compressa peròin una sfera di appena 10 km di diametro. Una pulsar può originarsi solamente dall'esplosione di una supernova, la quale deve aver inevitabilmente distrutto l'eventuale sistema planetario originale della stella stessa; i tre pianeti individuati intorno alla pulsar devono quindi essersi formati dai resti di una stella compagna disintegrata dalla pulsar stessa. Ovviamente questi tre mondi non sono stati osservati direttamente, ma solo rilevati indirettamente in base al modo in cui modificano il periodo degli impulsi ottici e radio della pulsar orbitando intorno a essa: le variazioni del periodo permettono di stabilire che i tre pianeti compiono le loro rivoluzioni a distanze dalla pulsar di 0.47, 0.36 e 0.19 AU. Questi valori sono in rapporto 1 : 0.77 : 0.4 ovvero molto simile al rapporto delle distanze della Terra, Venere e Mercurio dal Sole; se quindi la legge di Titius-Bode funziona anche per la PSR B1257+12, ciò induce a pensare alla possibile esistenza di una legge universale per la formazione dei sistemi planetari. Se il sistema funziona per stelle così diverse come una pulsar e il nostro Sole, ci sono probabilità che possa funzionare per tutte le stelle.


    Un confronto tra le dimensioni dei maggiori corpi minori appartenenti alla Fascia Principale. Tra tutti solo Cerere è classificato come pianeta nano, gli altri come asteroidi.

    All'interno della Fascia Principale si trovano la maggior parte degli asteroidi conosciuti e tra i primi a essere individuati agli inizi del XIX secolo. Vesta, qui ripreso dalla sonda DAWN nel 2011 a una distanza di 5.200 km, fu scoperto il 29 marzo 1807 dal medico e appassionato di astronomia tedesco Heinrich Wilhelm Olbers. L'asteroide ha una forma di sferoide irregolare, con dimensioni pari a 573 x 557 x 446 km, e orbita intorno al Sole ad una distanza media di 353 milioni di km in 3.6 anni. È il più luminoso tra i corpi della Fascia Principale, superando in magnitudine al perielio il più grande Cerere.


    In questa immagine ravvicinata è visualizzato il cratere Aelia su Vesta, avente un diametro di 4,3 km; l'immagine è il risultato di una serie di elaborazioni effettuate da settembre a ottobre 2011 con diversi filtri per meglio evidenziare le varie composizioni dei materiali presenti sulla superficie dell'asteroide. L'esatta origine delle strutture visibili è ancora sconosciuta, tuttavia si pensa che l'impatto di un corpo asteroidale più piccolo abbia liquefatto alcuni minerali che non erano precedentemente presenti sulla superficie di Vesta.


    Il più grande dei corpi appartenenti alla Fascia Principale degli asteroidi è in realtà, come già accennato, stato recentemente riclassificato come pianeta nano: si tratta di Cerere qui riprodotto in questa immagine in falsi colori ripresa dalla sonda DAWN nel 2015. La sonda, dopo aver esplorato Vesta, era stata diretta verso Cerere intorno al quale ha stabilito la sua orbita, permettendo uno studio della sua superficie con diversi strumenti. Questa foto, in particolare, permette di identificare in maniera immediata i diversi materiali e minerali presenti sulla superficie; in evidenza, quasi al centro del disco, il cratere Occator del diametro di circa 80 km in cui sono presenti depositi di materiali altamente riflettenti, probabilmente consistenti in ghiaccio e sali minerali; analisi condotte nel 2018 hanno portato a ipotizzare la presenza di solfato di magnesio esaidrato, argille ricche di ammoniaca, cloruro di sodio e carbonato di ammoniaca. Tutte queste sostanze si pensa possano risalire dall'interno del planetoide e che si siano combinate con acqua per poi condensare sulla superficie. È stata rilevata anche una debole atmosfera di vapore acqueo di densità variabile in funzione della distanza di Cerere dal Sole.


    Il Monte Ahuna su Cerere in questa ricostruzione grafica ottenuta in base alle fotografie e i dati raccolti dalla sonda DAWN. Il monte è alto circa 5 km rispetto alla superficie circostante; si tratta di un criovulcano, ovvero un vulcano che erutta materiali ghiacciati alla stato fluido anziché lava bollente. I materiali sono per lo più costituiti da ghiaccio d'acqua, sali minerali e sostanze a base di ammoniaca e vengono definiti, nel loro complesso, come "criomagma", di norma allo stato liquido ma che possono presentarsi anche in quello gasso gassoso. Dopo l'eruzione il criomagma condensa immediatamente a causa dell'esposizione alle gelide temperature ambientali. Il "criovulcanismo" è l'insieme dei fenomeni collegati all'attività vulcanica già individuata su diversi corpi ghiacciati del sistema solare, quali Encelado, Titano e Tritone; è possibile che tale attività si estenda su altri satelliti naturali del sistema solare esterno, pianeti nani e gli asteroidi più grandi.


    In tempi recenti sono stati individuati dei nuovi corpi molto più lontani dal Sole, oltre l'orbita del pianeta Nettuno e chiamati Trans-Nettuniani (TNO); tra questi molti sono classificabili come pianeti nani e la cosa è abbastanza naturale, visto che alle enormi distanze a cui si trovano risulterebbe assai difficile individuare oggetti più piccoli aventi dimensioni asteroidali.
    Un oggetto transnettuniano è un qualsiasi pianeta nano del Sistema Solare che orbita attorno al Sole a una distanza media maggiore di Nettuno, che ha un semiasse maggiore di 30.1 AU. A partire da ottobre 2020, il catalogo dei pianeti nani contiene 678 oggetti numerati e più di 2.000 TNO non numerati.
    La loro distanza minima dal Sole è pari a circa 4.5 miliardi di km. I corpi Trans-Nettuniani sono a loro volta classificati a seconda del tipo di orbita che percorrono, per cui si possono trovare quelli appartenenti alla Fascia di Kuiper (KBO) come Makemake (1.800 km di diametro), Haumea (1.500 km) e Quaoar (1.500 km). Come sottogruppo della classe degli oggetti appartenenti alla Fascia di Kuiper, si trovano i Plutini a cui appartengono, oltre a Plutone stesso, degradato nel 2005 al rango di pianeta nano, con 2.300 km di diametro, Caronte che è il più grande dei cinque satelliti noti di Plutone (1.200 km di diametro) e Orco, con un diametro di 1.500 km.


    Sempre nell'ambito degli oggetti Trans-Nettuniani si trovano gli asteroidi e pianeti nani appartenenti al gruppo del Disco Diffuso, una regione estremamente periferica del Sistema Solare ricca di planetoidi ghiacciati noti come "oggetti del disco diffuso" (scattered disc objects). La parte più interna del disco diffuso sfuma gradualmente nella fascia di Kuiper, ma la sua estensione è assai maggiore, e raggiunge anche regioni di spazio situate ben al di sopra e al di sotto dell'eclittica.
    I corpi celesti che appartengono a questa regione possono raggiungere anche distanze di 15 miliardi di km dal Sole. Uno di questi è il pianeta nano Eris con 2.400 km di diametro, troviamo quindi Sedna, scoperto il 14 novembre del 2003, ad una distanza di 13,5 miliardi di km dal Sole. Il valore del diametro di questo oggetto è ancora alquanto incerto, vista la grande distanza che impedisce misure precise, tuttavia si pensa che sia compreso tra i 1.200 e i 1.800 km; la sua orbita è molto eccentrica, tanto che se nel punto più vicino al Sole (perielio) si avvicina a circa 11,4 miliardi di km (cosa che avverrà nel 2075), nel suo punto più lontano (afelio) raggiunge la distanza record di 134,6 miliardi di km.

    Questo fatto ha indotto alcuni astronomi a proporre l'idea che in realtà Sedna non faccia veramente parte del Disco Diffuso ma appartenga a un'altra classe, quella della Nube di Oort; una regione di forma grossomodo sferica, composta da un gran numero di comete, posta tra 20.000 e 100.000 AU dal Sole (da 0.3 a 1.5 anni-luce). Questa nube non è mai stata osservata perché troppo lontana e buia perfino per i telescopi odierni, ma si ritiene che sia il luogo da cui provengano le comete di lungo periodo che poi attraversano la parte interna del Sistema Solare.
    Anche le caratteristiche fisiche di questo oggetto sono molto particolari, essendo piuttosto scuro e di colore decisamente rosso, al contrario della maggior parte degli oggetti Trans-Nettuniani che risultano più chiari e che riflettono molto la luce del Sole, grazie alla presenza di ghiaccio sulle loro superfici. Il bassissimo potere riflettente e la colorazione rossastra di Sedna, fanno pensare che sulla sua superficie sia presente un composto chiamato tolina, di cui si è parlato in precedenza e che può essere rappresentato come una sorta di "fango" di idrocarburi ghiacciati. Un miscuglio del genere sembra essere già stato individuato su altri asteroidi, sulla luna di Saturno Titano, su quella di Nettuno Tritone e, addirittura, in un sistema planetario in formazione, ovvero quello della stella binaria HR 4796, nella costellazione del Centauro a circa 220 anni-luce di distanza dalla Terra. Proprio all'interno della Nube di Oort si trova un'altra famiglia di oggetti asteroidali e di pianeti nani a cui dovrebbe appartenere anche Sedna; un candidato sicuro è l'asteroide (148209) 2000 CR105.


    A quasi 13,5 miliardi di km dal Sole troviamo Sedna, un corpo celeste del diametro di circa 1.800 km. Scoperto il 14 novembre 2003, quasi subito fece notare alcune peculiarità, tra cui il fatto che si stava avvicinando al suo punto più vicino al Sole ma che lo raggiungerà solamente nel 2075. Calcolando con cura la sua orbita, gli astronomi hanno scoperto che Sedna può raggiungere una distanza massima dal Sole di ben 134 miliardi di km. Qui a fianco una ricostruzione del possibile aspetto della sua superficie e del panorama che si potrebbe godere da esso.
    Il Sole, pur essendo di gran lunga ancora l'oggetto più luminoso di tutto il cielo di Sedna, è ridotto solo a un puntino; nel firmamento si possono distinguere un numero enorme di stelle: nessuna atmosfera a fare da scudo con il freddo vuoto dello spazio e una temperatura che sfiora lo zero assoluto, con quasi -260°C. La superficie è cosparsa di una cupa e rossastra fanghiglia di idrocarburi.

    Quasi sicuramente provengono dalla Nube di Oort molte comete con orbite paraboliche, iperboliche oppure ancora a lunghissimo periodo, come la famosa Hale-Bopp del 1997 e la precedente Hyakutake del 1996. Le comete con periodi di rivoluzione intorno al Sole più brevi dovrebbero provenire dalla Fascia di Kuiper; tra queste la celebre cometa di Halley. La Nube di Oort dovrebbe trovarsi ad una distanza dal Sole compresa tra i 3.000 miliardi e i 15.000 miliardi di km, equivalenti a 0,3 e 1,5 anni-luce.



    La Nube di Oort è una vasta regione di forma grossomodo sferica che dovrebbe avere inizio a una distanza media di 300 miliardi di km dal Sole ed estendersi fino a 7.500 miliardi di km, anche se alcune stime parlano di una distanza fino a 15.000 miliardi di km, ovvero 1.6 anni-luce circa. Postulata fin dal 1932 dall'astronomo estone Ernst Opik e riproposta in maniera indipendente da Jan Oort nel 1950, la Nube dovrebbe ospitare milioni o forse miliardi di nuclei cometari, troppo deboli per essere osservati dalla Terra con i telescopi attualmente disponibili.
    Lo schema proposto in alto illustra le proporzioni tra il Sistema Solare, quasi completamente confinato all'interno dell'orbita di Plutone, la fascia di Kuiper che a sua volta la contiene e la gigantesca e vastissima Nube di Oort.




    Come in un antico gioco di scatole cinesi o come una gigantesca matrioska, l'immagine in alto tenta di far percepire le dimensioni e proporzioni relative delle varie strutture che costituiscono il nostro Sistema Solare nel suo complesso. Nel primo riquadro, in alto a sinistra, è riportato lo schema delle orbite dei pianeti nel Sistema Solare interno comprese entro quella di Giove, inclusa la Fascia Principale degli asteroidi. In alto a destra il campo si allarga per includere le orbite di Nettuno, Plutone e la Fascia di Kuiper con conseguente aumento della scala dell'immagine; viene anche mostrata la posizione di Sedna quando si troverà nel punto più vicino al Sole, nel 2075. In basso a destra il campo si allarga ancora mostrando l'intera estensione dell'orbita di Sedna; infine, in basso a sinistra la parte più interna della Nube di Oort. L'intero Sistema Solare risulta confinato entro lo spazio rappresentato dall'orbita di Sedna, tracciata in rosso; siamo ancora, tuttavia, nel nostro "cortile di casa", in quanto la parte più interna della nube di Oort inizia a circa 3,5 mesi-luce di distanza dal Sole (0,3 anni-luce). Per raggiungere la stella più vicina bisogna ancora percorrere almeno 4 anni-luce.













    Ritornando verso le regioni più interne del Sistema Solare, si trovano altri gruppi di oggetti asteroidali; uno di questi è chiamato dei Centauri, localizzato tra le orbite di Giove e Nettuno. Il prototipo di questa classe di oggetti è anche il primo ad essere stato scoperto nel 1977: Chirone, un corpo di forma irregolare e delle dimensioni approssimative di 137 km. Tra gli altri Centauri scoperti più recentemente spiccano Chariklo con un diametro di circa 275 km e Pholus di 185 km. Quest'ultimo è, insieme con Sedna, uno degli oggetti del Sistema Solare che mostra una superficie tra le più scure e rossastre, probabilmente per la presenza della stessa tolina già incontrata anche su altri corpi rocciosi del Sistema Solare esterno. Nessun asteroide Centauriano è stato mai fotografato dalle sonde spaziali che in questi ultimi anni hanno incrociato nello spazio esterno in varie missioni; si crede che almeno uno dei satelliti di Saturno, Phoebe, sia in realtà un asteroide della famiglia Centauriana catturato dalla potente attrazione gravitazionale del gigantesco pianeta con gli anelli; Phoebe è stata fotografato dalla sonda Cassini nel 2004, per cui si può ben supporre di avere a disposizione almeno qualche buona immagine ravvicinata di uno dei componenti di questa classe di asteroidi.

    Avvicinandosi ulteriore al Sole si trova un'altra interessante famiglia di asteroidi: i Troiani. Si tratta di oggetti che orbitano intorno al Sole seguendo le stesse orbite di alcuni pianeti e si mantengono sempre alla stessa distanza da questi, in quanto occupano alcuni punti particolari dell'orbita dei pianeti interessati, chiamati Punti Lagrangiani, che sono gravitazionalmente stabili e posizionati a 60° di distanza dal pianeta stesso, quindi precedendolo o seguendolo lungo la sua orbita. Sono stati chiamati in questo modo in onore del matematico Joseph-Louis de Lagrange che nel 1772 ne calcolò la posizione, essi identificano quelle regioni dello spazio in cui le forze gravitazionali di due corpi massicci tra loro interagenti consentono a un terzo corpo, molto più piccolo, di mantenere una posizione stabile relativamente ad essi. Vengono anche chiamati, in maniera molto più breve, L4 e L5.
    Quando si parla di asteroidi Troiani di solito ci si riferisce a quelli posizionati sui punti L4 e L5 di Giove, esistono tuttavia gruppi di asteroidi simili lungo le orbite di altri pianeti come Nettuno, Marte e la Terra stessa; i Troiani di Giove sono però quelli più numerosi, con una massa totale stimata almeno pari a un quinto di quella della totalità dei corpi presenti nella Fascia Principale. Essendo distribuiti in due gruppi distinti, localizzati nei due punti Lagrangiani, gli asteroidi Troiani sono stati suddivisi in campo greco e campo troiano, con una nomenclatura scelta tra gli eroi della mitologia classica e che parteciparono alla guerra di Troia; il primo ad essere scoperto di questi asteroidi fu 588 Achilles nel 1906, da parte dell'astronomo Max Wolf. Alla data del giugno 2011 erano già stati identificati 4.741 asteroidi Troiani, di cui 3.117 in campo greco, corrispondente al punto Lagrangiano L4 e 1.624 in campo troiano, relativo al punto Lagrangiano L5. L'unico asteroide troiano presente lungo l'orbita terrestre è stato scoperto solo il 28 luglio 2011, la sua denominazione provvisoria è 2010 TK7.



    Il diagramma in alto mostra i cinque Punti Lagrangiani in un sistema a due corpi, con uno molto più massiccio dell'altro, come può essere, per esempio, il caso del Sole e la Terra. In un sistema del genere, i punti L3, L4 e L5 sembrano appartenere all'orbita del corpo minore ma in realtà sono leggermente all'esterno di essa.



    Arrivando in prossimità del nostro pianeta si incontra un ultimo gruppo di oggetti da prendere in seria e attenta considerazione: i Near Earth Objects, identificati con l'acronimo NEO, sono degli asteroidi che si avvicinano molto alla Terra. Sostanzialmente un NEO è un qualsiasi corpo minore del Sistema Solare la cui orbita lo porta in prossimità della Terra. Per convenzione, un corpo del Sistema Solare è classificato come NEO se il suo massimo avvicinamento al Sole è inferiore a 1.3 unità astronomiche (UA). Se l'orbita dell'oggetto attraversa quella terrestre e se lo stesso è più grande di 140 metri di diametro, viene anche considerato come potenzialmente pericoloso. La maggior parte di questi oggetti sono asteroidi, ma una piccola parte anche comete.
    Attualmente se ne conoscono circa trentamila, con diametri fino a 32 km e suddivisi, a loro volta, in tre sottoclassi: gli Aten con orbite interne a quella del nostro pianeta, anche se di poco; gli Apollo, oggetti le cui orbite arrivano quasi ad intersecare quella della Terra e, infine, gli Amor con orbite esterne a quella terrestre ma che giungono quasi a sfiorarla nel loro massimo avvicinamento al Sole; quando invece raggiungono la massima distanza dalla nostra stella non superano praticamente l'orbita di Marte. I corpi a più potenziale rischio di collisione con il nostro pianeta sono chiaramente quelli delle classi Aten ed Apollo, mentre gli altri si mantengono sempre esterni all'orbita terrestre. Visti i loro notevoli avvicinamenti, questi piccoli corpi sono stati studiati anche con tecnologie radar, cercando di mappare la loro forma con l'utilizzo di onde elettromagnetiche emesse da potenti radiotelescopi; a qualunque tipo di indagine ottica questi asteroidi appaiono sempre e comunque come puntini anche con i telescopi più grandi, sfruttando invece la riflessione delle onde radio è stato possibile tracciare una mappa, seppur grossolana, della della loro superficie.
    Alcuni di questi oggetti sono stati anche interessati dall'esplorazione diretta da parte di sonde spaziali, come la NEAR Shoemaker tra la fine degli anni novanta e l'inizio di questo secolo. Protagonisti dell'indagine furono all'epoca gli asteroidi Mathilde ed Eros, su quest'ultimo la sonda riuscì addirittura ad atterrare nel 2001.


    Nel 2003 l'Agenzia Spaziale Giapponese (JAXA) lanciò la sonda HAYABUSA (tradotto letteralmente: Falco Pellegrino) con l'obiettivo di studiare l'asteroide 25143 Itokawa, un piccolo corpo celeste delle dimensioni di circa 330 metri appartenente alla famiglia degli asteroidi Apollo, che come accennato è un sottogruppo dei NEO, la cui orbita arriva ad intersecare quella di Marte. La missione prevedeva che la sonda arrivasse in orbita intorno all'asteroide ad una distanza di 20 km, atterrasse su di esso, prelevasse campioni geologici dalla superficie e facesse quindi ritorno sulla Terra. Malgrado qualche difficoltà nella fase di atterraggio, la missione si concluse felicemente e alcuni frammenti dell'asteroide rientrarono sul nostro pianeta nel giugno del 2010.

    Visto il successo ottenuto, l'Agenzia Spaziale Giapponese decise una seconda missione, Hayabusa 2, che fu lanciata nel dicembre 2014 ed era diretta verso un altro asteroide di tipo Apollo: 162173 Ryugu del diametro di circa 870 metri. A questa nuova sonda furono applicate diversi miglioramenti e innovazioni, come la presenza di tre piccoli rover automatizzati destinati ad esplorare la superficie dell'asteroide e raccogliere campioni. La sonda raggiunse l'asteroide nel giugno del 2018 e vi orbitò intorno per un anno e mezzo a una distanza di circa 20 km, compiendo misure e rilevamenti; durante questo periodo rilasciò sulla superficie di quel minuscolo corpo celeste anche un lander e tre piccoli rover semoventi, oltre a raccogliere dei campioni dall'asteroide. Hayabusa 2 riportò i campioni sulla Terra nel dicembre 2020 e si è nuovamente avventurato in un'altra missione verso un nuovo asteroide, 1998 KY26, facente parte sempre della famiglia degli Apollo ma scoperto solamente nel 1998 e avente un diametro di appena 30 metri. Esso è classificato come asteroide e non come meteoroide solo per via della sua forma tondeggiante.


    La superficie dell'asteroide Ryugu ripresa da uno dei piccoli rover rilasciati sulla superficie dalla sonda giapponese Hayabusa 2. Si tratta della prima foto scattata dalla superficie di una asteroide.


    Un altro asteroide NEO, anche esso appartenente alla famiglia degli Apollo, fu ripreso da un'altra sonda spaziale: la navicella cinese Chang'e 2 con l'asteroide 4179 Toutatis. Questo oggetto era stato scoperto molto recentemente, nel 1989, ha un diametro di 5,4 km e ruota intorno al suo asse in 176 ore, percorrendo un'orbita molto eccentrica e particolare che lo porta, ogni quattro anni, ad avvicinarsi notevolmente alla Terra; in particolare, il 29 settembre 2004, l'asteroide transitò a solo un milione e mezzo di km dal nostro pianeta. Toutanis è anche associato allo sciame meteorico delle Kappa Aquaridi. Si tratta di uno sciame di intensità abbastanza modesta il cui radiante si trova posizionato quasi sull'equatore celeste, con ascensione retta 22h:36m. La velocità di ingresso delle particelle che lo compongono è di circa 16 km/s. È visibile dal 8 al 30 settembre di ogni anno con un picco il giorno 20
    La sonda cinese si avvicinò all'asteroide il 13 dicembre 2012 a una distanza minima di 3.2 km, mentre si trovava a 6.9 milioni di km dalla Terra.


    Il particolare interesse della comunità scientifica per gli asteroidi NEO è in parte dovuto al fatto che sono tra gli oggetti del Sistema Solare a più potenziale rischio di impatto con il nostro pianeta e, d'altro canto, perché sono molto antichi, risalenti probabilmente alla formazione del nostro Sistema Solare; il loro studio è quindi fondamentale per la comprensione delle nostre origini. In realtà questa condizione di anzianità è probabilmente condivisa con moltissimi altri asteroidi, tuttavia i NEO sono quelli che, più di tutti si avvicinano, al nostro pianeta e sono quindi i migliori candidati per uan esplorazione diretta da parte delle sonde spaziali in quanto più semplici da raggiungere ed esplorare: da essi possono essere riportati indietro anche dei campioni geologici da analizzare, cosa che effettivamente è stata già realizzata. In una prospettiva futura gli asteroidi la cui orbita si trova in prossimità di quella del nostro pianeta, potrebbero essere i primi obiettivi per delle future attività di estrazione mineraria spaziale, maggiormente favoriti anche rispetto alla stessa Luna, per via della ridottissima gravità che li contraddistingue e che faciliterà enormemente tutte le attività estrattive ed industriali in generale.

    È tuttavia il rischio di impatti con il nostro pianeta la motivazione principale che l'interesse di molti scienziati e non solo; essa smuove anche la fantasia del grande pubblico, alimentata anche da produzioni cinematografiche che, anche in tempi abbastanza recenti, hanno trattato l'argomento in maniera molto romanzata e catastrofica. Ci fu però una scintilla scatenante che accentrò l'interesse mondiale su questi oggetti, ovvero un evento reale: l'impatto della cometa Shoemaker-Levy 9 su Giove nel luglio del 1994. Documentato sia dal telescopio spaziale Hubble sia dalla sonda spaziale Galileo che, in quel periodo, era in fase di avvicinamento verso Giove. Si trattò di un fenomeno catastrofico, minimizzato solo dalle grandi dimensioni di Giove che assorbì l'impatto e che rimase limitato alle regioni più esterne della sua atmosfera. Il nucleo della cometa si era sbriciolato circa un anno prima, a causa dell'intensa forza gravitazione di Giove durante il primo avvicinamento della cometa al gigante gassoso; quando il frammento più grande della cometa colpì l'atmosfera del pianeta, si sviluppò un'esplosione di una forza pari a 6 milioni di megaton, ovvero l'equivalente di 750 volte la potenza dell'intero arsenale nucleare mondiale. Le macchie scure che si crearono nell'atmosfera del pianeta, vere e proprie cicatrici, raggiunsero le dimensioni di 12.000 km di diametro, equivalenti all'incirca alle dimensioni della Terra.

    I "segni" lasciati sull'atmosfera di Giove dagli impatti multipli dei frammenti della cometa Shoemaker-Levy 9. L'evento maggiore fu quello del 18 luglio 1994 alle 07:33 UT


    L'evento della Shoemaker-Levy 9 fece comprendere che le possibilità dell'impatto di un corpo asteroidale con il nostro pianeta, al di là delle fredde statistiche e dell'immaginario popolare, era un fatto concreto da non sottovalutare, anche se con mionime probabilità di reale accadimento. Nessuno dei NEO attualmente conosciuti possono rappresentare un pericolo immediato o nella prospettiva di qualche anno. Ad ogni modo le statistiche dicono che le possibilità che la Terra incontri sul suo cammino un oggetto asteroidale del diametro di circa 4 metri sono di una ogni anno e mezzo circa; il corpo celeste, in questo caso, brucerebbe nella nostra atmosfera, generando un'esplosione equivalente a circa 3 kilotoni, cioè come 3.000 tonnellate di tritolo. Per confronto la prima bomba atomica, sganciata su Hiroshima nel 1945, sviluppò uno potenza molto maggiore, pari a 12.5 kilotoni. Il discorso cambia notevolmente nel caso che l'oggetto impattante sia pi&ugrande, con un diametro, ad esempio, di un centinaio di metri: in questo caso il corpo potrebbe non bruciare completamente nell'atmosfera e piomberebbe direttamente sulla superficie, con una esplosione equivalente a circa 3.8 megatoni (1 megatone e' uguale a 1.000 kilotoni), generando un cratere di circa 1.200 metri di diametro. Fortunatamente le probabilità che un simile evento accade realmente sono piuttosto basse, stimate in una ogni 5.000 anni circa. In realtà il potere distruttivo viene notevolmente aumentato se si considera anche l'impatto di un asteroide, anche piccolo, avrebbe con l'atmosfera terrestre: come si è ben potuto constatare dall'evento Chelyabinsk del 15 febbraio 2013. In quella occasione un corpo delle dimensioni di circa venti metri entrò in contatto con la nostra atmosfera ad una velocità di circa 18 km/sec, generando un'esplosione pari a 90 kilotoni. In questo caso non tutta l'energia cinetica dell'asteroide si era convertita nell'esplosione, tanto che l'oggetto si frammentò e alcuni frammenti arrivarono anche a terra; se l'intera energia cinetica del corpo celeste si fosse trasformata in esplosione nell'atmosfera, la potenza di quest'ultima sarebbe stata superiore ai 400 kilotoni. In ogni modo i danni dovuti all'onda d'urto sono stati notevoli, con alcuni edifici danneggiati e tutti i vetri delle finestre di circa 7.200 edifici completamente distrutti; i feriti sono stati circa 1.500, tra cui più di 300 bambini, principalmente a causa dei frammenti dei vetri delle finestre esplose.


    Anche se nell'immediato non sono noti corpi di dimensioni rilevanti che possano rappresentare un pericolo globale per tutta l'umanità, non è possibile escludere del tutto che oggetti più piccoli ancora ignoti possano creare danni rilevanti in vaste aree del nostro pianeta, coinvolgendo persone e cose. L'evento di Chelyabinsk è solo l'ultimo di una lunga sequenza di incontri che il nostro pianeta ha avuto, anche in tempi abbastanza recenti, con piccoli corpi asteroidali che orbitano intorno al Sole. Il primo di questi ben documentato è quello che ha causato l' evento di Tunguska nel 1908: un oggetto, probabilmente il nucleo di una piccola cometa, esplose all'altezza degli strati superiori della nostra atmosfera, al di sopra di una desolata regione siberiana. Fu solo per una fortunata coincidenza che questo evento coinvolse una regione disabitata; se il corpo celeste avesse tardato solo di qualche ora nell'incontrare il nostro pianeta, l'esplosione sarebbe potuta avvenire sopra l'Europa occidentale, ben più popolata. L'effetto dell'impatto con l'atmosfera terrestre fu devastante: 80 milioni di alberi distrutti in un'area superiore ai 2.000 km quadrati; è stato stimato che la potenza dell'esplosione risultò compresa tra i 3 e 30 megatoni. Non sono mai stati trovati frammenti, probabilmente perché l'intero oggetto si vaporizzò ad una altezza di circa 10 km. Una chiarissima traccia dell'impatto di un piccolo asteroide, ben visibile anche ai nostri giorni, è invece rappresentata dal Meteor Crater in Arizona, Stati Uniti; questo cratere, mantenutosi quasi intatto grazie alla sua posizione in pieno deserto, si creò circa 50.000 anni fa in seguito all'impatto di un piccolo asteroide di 50 metri di diametro, composto principalmente da nickel e ferro. La potenza dell'esplosione fu, presumibilmente, pari a 10 megatoni e il cratere ha un diametro di 1.200 metri con una profondità di 170 metri. L'incubo peggiore degli scienziati rimane, comunque, il grande asteroide, simile a quello che 65 milioni di anni fa colpì la Terra, spazzando via la maggior parte delle forme viventi compresi i dinosauri che allora dominavano il nostro pianeta. L'oggetto killer doveva avere un diametro intorno ai 10 km ed impattò sull'attuale penisola dello Yucatan in Messico con la potenza di 100 teratoni (un teratone è uguale a un milione di megatoni), creando un cratere del diametro di 180 km.


    SCALA DI TORINO PER POTENZIALI IMPATTI ASTEROIDALI

     
    SCALA 0

    COLORE: BIANCO

    NESSUN PERICOLO
    Le probabilita' di una collisione sono zero o prossime a zero; viene applicato anche per i piccoli oggetti che bruciano nell'atmosfera e per quelli che, raramente, arrivano a terra ma non causano danni rilevanti.
    SCALA 1

    COLORE: VERDE

    NORMALE
    Un oggetto che transita abbastanza vicino alla Terra ma non ad una distanza tale da fornire preoccupazioni; le probabilita' di un impatto sono molto basse e, spesso, nuove osservazioni e calcoli precisano meglio l'orbita e lo ricolloca al grado zero.
    SCALA DA 2 A 4

    COLORE: GIALLO

    LIVELLO DI ATTENZIONE
    Un incontro ravvicinato con un asteroide che potrebbe rappresentare un rischio concreto, dalle dimensioni abbastanza rilevanti da poter apportare danni a persone e cose; le probabilita' di un impatto si aggirano intorno all'uno per cento.
    SCALA DA 5 A 7

    COLORE: ARANCIO

    MINACCIA
    Avvicinamento molto stretto ad un grosso corpo asteroidale, in grado di portare una catastrofe a livello planetario; il livello d'incertezza e' molto alto ma i rischi connessi all'evento sono tali che deve essere diramato un allarme globale, in attesa di precisare meglio la sua orbita.
    SCALA DA 8 A 10

    COLORE: ROSSO

    COLLISIONE CERTA
    Certezza di collisione con un asteroide in grado di portare distruzione su vaste aree del nostro pianeta, compresa la possibilita' di vasti tsunami se la collisione avvenisse in mare. Al grado piu' elevato (10) si possono prevedere anche cambiamenti climatici globali, indipendentemente che l'impatto avvenga sulla terraferma o in mare. Un evento del genere, statisticamente, puo' verificarsi una volta ogni 100.000 anni o anche meno.

    Da quale anno sono state prese diverse iniziative, varando progetti allo scopo di monitorare lo spazio interplanetario intorno alla Terra e cercando di individuare il maggior numero possibile di corpi celesti pericolosi. Tra queste iniziative il NEAR EARTH OBJECT PROGRAM della NASA che si propone di identificare e tracciare l'orbita di tutti i NEO; oppure la SPACEGUARD FOUNDATION, associazione privata sostenuta dall'ESA (European Space Agency). La NASA nella pagina dedicata agli asteroidi NEO fornisce anche una tabella sui corpi asteroidali identificati e a potenziale rischio di impatto con il nostro pianeta; questa tabella viene creata ed aggiornata periodicamente in base a tutte le osservazioni disponibili grazie ad un sistema chiamato Sentry System a cura del Jet Propulsion Laboratory (JPL). La tabella della NASA dedicata ai NEO comprende al suo interno anche due sistemi di valutazione dei rischi di impatto e delle loro potenziali conseguenze: la Scala di Palermo e la Scala di Torino. Mentre la prima è stata pensata principalmente per gli specialisti del settore e gli scienziati, in quanto esprime un valore numerico partendo da una serie di complesse equazioni, la Scala di Torino è invece stata concepita per il grabde pubblico, fornendo una valutazione numerica associata ad una serie di eventi facilmente descrivibili.
    Oltre a essere classificabili in base alle loro orbite, gli asteroidi vengono distinti anche per la loro composizione chimica: da questo punto di vista possono essere suddivisi in tre grandi categorie: quelli composti principalmente di carbonio (carbonacei), quelli di sicilio a base metallica con silicati di nichel, ferro e magnesio e quelli metallici veri e proprio, composti principalmente da nichel e ferro quasi allo stato puro; in realtà gli astronomi usano classificazioni più complesse, tra queste le maggiormente usate sono quella di Tholen e quella di SMASS. La SMASS è più recente e si basa su un campione di oggetti più vasto delle precedente di Tholen, che risale agli anni ottanta del ventesimo secolo; esso tuttavia non prende in considerazione alcune caratteristiche importanti, come la capacità riflettiva di un asteroide ovvero il suo albedo e, inoltre, introduce ben 24 tipi, contro i soli 14 di quella di Tholen; in questo senso quindi quest'ultima rimane la più semplice e pratica da usare.

     

    Qui di seguito una tabella che cerca di sintetizzare la classificazione chimico-fisica degli asteroidi secondo il sistema di Tholen

    GRUPPO C Oggetti Carboniosi scuri, divisi in 4 sottogruppi:

    TIPO B

    Un piccolo gruppo di asteroidi carboniosi che si trovano, per la maggior parte, nella parte più esterna della Fascia Principale, uno di questi, il più grande, potrebbe essere Pallas. Gli oggetti appartenenti a questo sottogruppo sono normalmente più luminosi della media di tutto il Gruppo C.
    TIPO F


    Un altro piccolo gruppo di oggetti, leggermente differenti dal tipo B più che altro per la mancanza nel loro spettro delle righe di assorbimento dell'acqua a 3 micrometri, presenti invece nell'altro tipo.

    TIPO G

    Anche questi molto poco comuni, si notano per la possibile presenza sulla loro superficie di fillosilicati, come l'argilla e la mica. Il pianeta nano Cerere fa parte di questo sottogruppo ed è il suo maggiore esponente, anche se qualche astronomo lo pone nel seguente tipo C.
    TIPO C

    Contiene la maggior parte degli asteroidi del Gruppo C e, praticamente, il 75% di tutti quelli conosciuti. Sono oggetti molto scuri che rifletteno solo il 3% della luce solare ricevuta e hanno una composizione molto simile a quello delle meteoriti condriti, al cui interno si possono trovare acqua e, più raramente, amminoacidi, i mattoni fondamentali della vita. Gli asteroidi di questo sottogruppo si trovano principalmente nella Fascia Principale, ad una distanza media di 400 milioni di km dal Sole; il più grande di loro è 10 Hygiea, con un diametro di circa 400 km e di forma pressoché sferica. Un altro oggetto appartenente a questo sottogruppo è l'asteroide 253 Mathilde, del diametro di circa 50 km, fotografato a distanza ravvicinata dalla sonda NEAR SHOEMAKER nel giugno 1997 mentre questa era in viaggio verso l'asteroide 433 Eros.
    GRUPPO S


    Si tratta di oggetti pietrosi composti principalmente di silicati del ferro, nichel e magnesio e formano un gruppo piuttosto numeroso che raccoglie almeno il 17% di tutti gli asteroidi conosciuti. Sono dotati di un'albedo piuttosto elevata, riflettendo dal 10% al 30% della luce, ed occupano la parte più interna della Fascia Principale, con distanze medie intorno ai 320 milioni di km dal Sole.

    GRUPPO X

    Un gruppo abbastanza eterogeneo che, seppur simili come spettro, potrebbero mostrare delle composizioni assai differenti gli uni dagli altri. E' diviso in tre sottogruppi:

    TIPO M

    Asteroidi metallici costituiti quasi esclusivamente di ferro e nichel. Si pensa che loro origine risalga ai primi tempi della formazione del Sistem Solare, quando corpi abbastanza grandi cominciarono ad addensarsi e a differenziare la loro struttura interna, facendo precipitare i metalli pesanti verso il centro della loro struttura e lasciando sulla superficie i materiali più leggeri e i silicati. In seguito a impatti con altri corpi lasciarono a nudo i piccoli nuclei metallici oramai raffreddati degli oggetti di minori dimensioni, mentre quelli di dimensioni maggiori poterono assorbire gli impatti e accrescersi proprio grazie a essi; questi grandi oggetti sarebbero poi diventati pianeti. Sono tra gli asteroidi più riflettenti, con un'albedo che varia tra il 10% e il 18%. Un tipico oggetto del tipo M e' l'asteroide 16 Psyche, del diametro di 250 km e composto quasi esclusivamente di ferro e nichel. La NASA ha in programma una missione con obiettivo proprio Psyche e che dovrebbe iniziare intorno al 2023.
    TIPO E

    Gli asteroidi di questo tipo si caratterizzano per un'albedo decisamente alta, arrivando a riflettere il 30% o più della luce incidente; si trovano maggiormente nella zona più interna della Fascia Principale, anche se esistono eccezioni come 64 Angelina, avente un diametro di circa 100 km. In generale questo tipo di asteroidi sono tutti abbastanza piccoli, con solo tre esemplari con dimensioni superiori ai 50 km.
    TIPO P


    Simile al tipo M ma con un'albedo decisamente piu' basso.

    GRUPPO A


    Asteroidi estremamente rari che sembrano essere in realtà frammenti di corpi più grandi; al momento se ne conoscono solo 17 esemplari.

    GRUPPO D

    Asteroidi con un'albedo molto basso e costituiti da composti organici ricchi di silicati, carbonio e silicati anidri e, forse, dotati anche di un nucleo di ghiacciato. Si trovano nella parte più esterna della Fascia Principale; in questo gruppo sono presenti oggetti come 152 Atala del diametro di 123 km, 588 Achilles di 135 km, 624 Hektor di 225 km e 944 Hidalgo di soli 38 km di diametro. Achilles e Hektor fanno parte del gruppo di asteroidi Troiani che condividono l'orbita di Giove suddivisi in due gruppi distinti sfasati tra di loro di 60°: le regioni dove i due gruppi si sono concentrati sono iPunti Langrangiani dell'orbita di Giove. Hidalgo è un asteroide molto particolare, classificato come appartenente alla Fascia Principale ma con un'orbita molto molto eccentrica che lo porta, nel suo punto più vicino al Sole, ad incrociare quella terrestre e, in quello più lontano, a sfiorare l'orbita di Saturno.
    GRUPPO T

    Un altro gruppo di asteroidi piuttosto raro, in quanto se ne conosco solo sei. La loro composizione chimica non è conosciuta e di loro si sa solo che sono molto scuri; un esempio del gruppo è l'asteroide 114 Kassandra.
    GRUPPO Q

    Prototipo di questo gruppo è l'asteroide 1862 Apollo, capostipite anche del gruppo Apollo che fa parte dei NEO; ha un diametro di soli 1.700 metri. Recenti osservazioni radar, effettuate dal radiotelescopio di Arecibo (Porto Rico, USA) nel 2005, hanno rivelato che Apollo ha un piccolo satellite che gli orbita intorno ad una distanza di soli 3 km.
    GRUPPO R

    Prototipo di questo gruppo l'asteroide 349 Dembowska del diametro di circa 140 km.
    GRUPPO V

    Aventi come prototipo l'asteroide 4 Vesta, si pensa che derivino proprio da questo oggetto, come frammenti staccatasi in seguito a uno o più grossi impatti di Vesta con altri corpi asteroidali. Esistono tuttavia alcuni asteroidi che, pur facendo parte di questo gruppo, non sembrano provenire da Vesta stesso, come 809 Lundia.











    Le Immagini Amatoriali

    Non ci sono dubbi che la maggior parte delle conoscenze che abbiamo sugli asteroidi derivi dalle più recenti missioni spaziali: in questo senso le ricerche compiute negli ultimi due decenni hanno prodotto dei risultati molto più significativi dei quasi due secoli di osservazioni visuali, fotografiche e fotometriche condotte dalla Terra tramite telescopi. Non di meno è altresì chiaro che nessuna delle missioni di spaziali avrebbero potuto avere luogo se non ci fossero stati, precedentemente, tutte le ricerche e osservazioni condotte dai pioneri dell'astronomia, fin da quella notte del 1 gennaio 1801 quando Giuseppe Piazzi scoprì Cerere dall'Osservatorio di Palermo.
    Quindi per quasi 200 anni sono stati accumulati una grande quantità di dati relativi alle posizioni e alla luminosità di questi piccoli inquilini del Sistema Solare, cercando di penetrare i loro segreti tramite principalmente l'ingegno umano. Quando però le nostre possibilità tecnologiche lo hanno permesso, è stato possibile effettuare quel salto di qualità che ci ha permesso di esplorare direttamente questi oggetti, anche se per il momento solo attraverso sonde automatiche e sofisticati robot.
    Il paziente lavoro di osservazione da Terra, in realtà, continua ancora oggi, condotto sia da piccoli gruppi di astronomi professionisti, sia da un manipolo di appassionati che cerca di dare un supporto operativo alla comunità scientifica; il loro contributo è però non solo utile ma spesso fondamentale anche per le ricerche professionali. Questi lavori, oggi come allora, si dividono essenzialmente in due campi distinti: astrometria e fotometria.

    L'astrometria tratta delle posizioni in cielo dei corpi celesti che, tradotto per gli oggetti del Sistema Solare, significa tentare di determinare con la massima precisione possibile gli elementi orbitali. Conoscere l'orbita della maggior parte possibile degli asteroidi è estremamente importante sia per determinare la possibilità di rischi di impatto con il nostro pianeta, sia per poter ricostruire la storia evolutiva di questi particolari oggetti, le loro possibili origini e il loro futuro. Questa attività è ormai superflua nel caso dei pianeti, le cui orbite sono ben note, mentre invece è un campo di lavoro e studio piuttosto vasto e complesso per tutti gli oggetti asteroidali, specie quelli più piccoli e poco osservati, e per le comete. Entrambe queste categorie di oggetti sono soggetti a perturbazioni da parte dei pianeti e di altri asteroidi, per cui gli elementi orbitali possono variare nel tempo, anche quando sono già noti con una discreta precisione.
    Determinare la posizione di una asteroide significa quindi verificare la bontà degli elementi orbitali noti per esso e, quindi, effettuare un vero e proprio controllo sulla perfetta conoscenza e stabilità della sua orbita intorno al Sole. Per affrontare un programma osservativo dedicato all'astrometria di asteroidi risulta assolutamente necessario utilizzare camere CCD o CMOS che, abbinate a un telescopio, possano fornire delle immagini con una scala di almeno due secondi d'arco (2") per pixel e che siano in grado di inquadrare una porzione di cielo il più grande possibile. Dalla formula

    $$ C = {{ 206265 \cdot D } \over F} \tag{2} $$

    note le dimensioni in millimetri del sensore e la lunghezza focale del telescopio utilizzato, è possibile calcolare il campo totale inquadrato in secondi d'arco; dato però che i sensori sono rettangolari, il calcolo va ripetuto per ognuna delle due dimensioni. Per esempio una camera CCD di vecchio tipo, avente un sensore di dimensioni 23.6x15.8 millimetri (3032x2016 pixel con dimensioni del singolo pixel pari a 7.8 micron), applicata a un telescopio di un metro di focale permette di coprire un campo pari a 4868x3259 secondi d'arco, ovvero 1.35x0.91 gradi circa. Con una siffatta combinazione di telescopio e camera CCD si otterrebbe una scala d'immagine di 1,6" per pixel, pienamente sufficiente per scopi astrometrici.

    La precisione necessaria per il calcolo della posizione dell'asteroide sull'immagine è piuttosto alta: dato che questo calcolo viene eseguito utilizzando le stelle presenti nello stesso campo inquadrato, è ovvio che le stelle devono essere registrate in modo più puntiforme possibile, in modo da ridurre errori di posizionamento. Questo significa che da una parte non si deve esagerare nell'esposizione in modo che le stelle non siano sovraesposte e mostrino dischi fittizi troppo grandi, dall'altra che l'immagine deve essere otticamente corretta anche sui bordi. Purtroppo questa seconda condizione è abbastanza difficile da ottenere con strumenti ordinari, specie se in configurazione ottica Newton o Schmidt-Cassegrain: si deve quindi ricorrere a correttori e spianatori di campo per cercare di avere un campo di vista più corretto possibile. Il fatto poi che le esposizioni debbano essere abbastanza brevi complica non poco il lavoro, in quanto gli asteroidi da esaminare sono anche quelli meno luminosi, con magnitudini quasi sempre più deboli della quindicesima. Un telescopio del diametro di 150 millimetri rappresenta il minimo necessario per intraprendere un serio lavoro in questo campo dell'astronomia non professionale; meglio sicuramente uno strumento da 200 o 250 millimetri con rapporti focali intorno a f/5 o f/6.

    Le dimensioni dei diametri stellari sul sensore dipendono poi anche da altri elementi, oltre al tempo di esposizione usato e alla qualità ottica del telescopio: è importante anche utilizzare una montatura equatoriale in grado di seguire in maniera più che accurata il movimento apparente della volta celeste, in modo che siano necessarie poche correzioni da parte del sistema di guida automatica che, comunque, deve essere attivo sullo strumento utilizzato. Anche la qualità del seening, ovvero la turbolenza atmosferica, influenza i dischi stellari fittizi che si formano sul sensore elettronico. Le immagini, una volta registrate, devono essere poi elaborate applicando tutte le correzioni necessarie, ovvero per Dark Frame, Bias e Flat Field; a questo punto potranno essere sottoposte all'analisi dei software astrometrici specifici, spesso utilizzati anche dagli astronomi professionisti. I dati ricavati dalle immagini, seguendo i protocolli previsti, devono poi essere inviate alle associazioni, enti nazionali o internazionali che li possono raccogliere e utilizzare. A livello mondiale esiste il Minor Planet Center (MPC) che raccoglie la quasi totalità delle osservazioni astrometriche compiute da professionisti e dilettanti; questa organizzazione si occupa anche di effettuare tutti i calcoli relativi alla probabili posizioni di tutti i corpi minori noti nel Sistema Solare, quindi anche le comete oltre agli asteroidi, pubblicando delle effemeridi di alta precisione, notizie e aggiornamenti sulla visibilità di tutti questi oggetti tramite le celebri Minor Planet Center Circular che tengono costantemente informata l'intera comunità astronomica mondiale su una grande quantità di fenomeni.

    Tutto quello finora descritto fa riferimento all'attività di ricerca astrometrica relativa alla conferma degli elementi orbitali di asteroidi già noti; il primo approccio a questo tipo di attività è quello di esaminare oggetti la cui orbita è conosciuta con sufficiente precisione e che risultano abbastanza luminosi, entro il limite della 15m, in modo da acquisire pratica ma, soprattutto, verificare la bontà di tutto il sistema di ripresa e analisi. Questo periodo di "training" può essere gestito direttamente con il Minor Planet Center, che potrà verificare il grado di precisione delle misure e che rilascerà in seguito il "codice osservatorio" come certificazione dello status di osservatorio qualificato per ricerche astrometriche; in seguito si potranno iniziare a seguire gli asteroidi meno noti, quelli meno luminosi perché più piccoli o più lontani. Una classe di oggetti che merita una particolare attenzione sono i NEO, i già visti Near Earth Objects: questi asteroidi sono quelli a potenziale rischio di impatto con il nostro pianeta, anche se le probabilità di un tale evento sono veramente molto piccole. In ogni caso si raccomanda un continuo monitoraggio di quelli già noti: in questo senso le attività di rilevazioni astrometriche sono uno strumento fondamentale per verificare l'evoluzione delle loro orbite, visto che sono spesso sottoposti all'influenza gravitazionale del nostro pianeta. Molto importanti nel campo delle ricerche astrometriche sono anche le occultazioni asteroidali, e la loro valenza si estende anche nel campo delle ricerche fotometriche. Con il termine "occultazione asteroidale" si intendo tutti quegli eventi in cui un asteroide si frappone prospetticamente tra noi e una stella, fenomeno concettualmente simile a quello di una eclissi di Sole o di Luna ma avente una fascia di totalità molto più stretta. Durante ogni anno si registrano diversi di questi fenomeni che coinvolgono, per la maggior parte, asteroidi e stelle piuttosto deboli ma che possono occasionalmente interessare anche oggetti più cospicui in termini di luminosità apparente. L'osservazione delle occultazioni è molto importante per una conferma più che attendibile degli elementi orbitali dell'asteroide stesso: paradossalmente anche un esito negativo di un'occultazione prevista è un'osservazione altrettanto importante. Un'occultazione può fornire anche informazioni fondamentali sulla forma dell'asteroide e sulla presenza di un compagno che gli orbita intorno (asteroidi doppi).

    Malgrado sia molto più difficoltosa, è senz'altro possibile anche intraprendere delle sky survey alla ricerca di nuovi asteroidi: si tratta di una tecnica abbastanza semplice, efficace e collaudata attraverso i secoli dagli astronomi, che ha permesso, tra le altre cose, la scoperta di oggetti come Plutone. In pratica ci si deve attrezzare con un ottimo software in grado di riprodurre carte stellari fino almeno alla magnitudine 18m o 19m e fotografare la stessa zona di cielo ad intervalli temporali prefissati; l'attrezzatura richiesta è la stessa di quella utilizzata per l'astrometria degli oggetti noti, in quanto in caso di scoperta sarà comunque necessario determinare con precisione la posizione del nuovo asteroide. L'intervallo di tempo che deve intercorrere tra due esposizioni può variare da qualche ora a interi giorni: questo purtroppo rimane un elemento di incertezza, perché dipende dalla distanza dell'asteroide e quindi dalla velocità del suo moto apparente in cielo. La maggiore difficoltà è rappresentata dal fatto che è necessario arrivare a registrare oggetti fino almeno alla diciottesima magnitudine, cosa non facile con strumenti amatoriali. Considerando l'equazione:

    $$ ML_{foto} = {{ 2.5 \cdot \log t} + {5 \cdot \log D} - 2.5} \tag{3} $$


    dove t è il tempo di esposizione in secondi e D il diametro del telescopio in millimetri, è possibile stimare la magnitudine della stella più debole che sarà possibile registrare con la propria attrezzatura.
    A rigore questa formula dovrebbe valere per le antiche emulsioni fotografiche, ammettendo dei dischi stellari sul negativo delle dimensioni massime di 40 micron; su un sensore elettronico aventi pixel delle dimensioni, per esempio, di 7.8 micron, questo potrebbe corrispondere a un diametro di circa 5 pixel per le stelle. Chiaramente i sensori CCD o CMOS non sono affetti dal difetto di reciprocità che affliggeva le pellicole fotografiche quando venivano impegnate in lunghe pose, tuttavia si può assumere, con un buon grado di approssimazione, che l'equazione (3) possa ancora mantenere una certa validità nella nostra era elettronica. Bisognerebbe, in effetti, tenere conto anche del rumore di fondo del sistema elettronico e dello stato del cielo: per il primo si può parzialmente ovviare con camere elettroniche raffreddate e applicando la calibratura delle immagini con i relativi dark frame e bias; per il secondo se ne può tenere conto utilizzando un'altra formula che valuta il tempo massimo di esposizione in funzione della magnitudine limite visibile a occhio nudo nella regione di cielo da fotografare:

    $$ t_{max} = {{ f^2 \cdot 2.5^m } \over 125 } \tag{4} $$


    dove f è il rapporto di apertura del telescopio utilizzato e m la magnitudine limite visuale. Sotto un cielo teoricamente perfetto, in cui la magnitudine limite è pari 5.5m, un telescopio aperto a f/5 potrebbe effettuare esposizioni fino a 30 minuti circa. Si deve però ricordare che la (4) è formulata in modo specifico per le emulsioni fotografiche e che qui viene traslata al mondo dei sensori elettronici in maniera abbastanza approssimata. In ogni caso l'equazione (3) fornisce una stima di magnitudine limite per un telescopio da 250mm di diametro e una esposizione di 10 minuti pari a circa 16.5m; questo valore è risultato abbastanza coerente con delle misure effettuate su esposizioni reali tramite una camera CCD e con gli stessi tempi di posa. Appare chiaro che per ottenere delle immagini di stelle e asteroidi, misurabili astrometricamente, per oggetti più deboli e dell'ordine della magnitudine 18, dovrebbero essere necessari telescopi da almeno 300mm di diametro.

    L'altro campo di ricerca estremamente interessate e importante che riguarda gli asteroidi è della fotometria. Lo scopo di tale attività è quello di fornire delle curve di variazione luminosa per il maggior numero di oggetti possibili, al fine di dedurre la loro composizione chimica superficiale, la forma e l'eventuale presenza di "asteroidi doppi", ovvero di due o più oggetti orbitanti uno intorno all'altro a brevissima distanza tra di loro. Nel primo caso l'osservazione tenta di esaminare l'albedo, ovvero la capacità riflettente di un corpo celeste, al fine di poter determinare la classe spettrale a cui fa parte l'asteroide osservato: se si tratta di un oggetto carbonaceo, roccioso o un di asteroide prevalentemente metallico. La classificazione di questi oggetti è uno dei tasselli più importanti nel quadro generale delle conoscenze sull'intera famiglia dei corpi minori del Sistema Solare e la classificazione chimico-fisica viaggia di pari passo con quella basata sul tipo di orbite percorse intorno al Sole.
    Per realizzare in maniera compiuta un simile programma osservativo è necessario seguire un asteroide per gran parte del suo periodo orbitale intorno al Sole, rilevando la sua luminosità in maniera costante a diverse distanze dalla nostra stella e dal nostro pianeta. Alla fine si otterrà una curva di luce media, caratteristica dell'asteroide, che sarà una sorta di "firma" dell'oggetto e da cui si potrà ricavare la magnitudine assoluta, ovvero la luminosità teorica che avrebbe il corpo celeste se fosse posto ad una distanza di 1 AU (Unità Astronomica = 149.6 milioni di km) dal Sole e dal nostro pianeta. Questo dato, unitamente alle sue caratteristiche orbitali e alla zona del Sistema Solare in cui si trova, possono contribuire ad una sua esatta classificazione, aiutando anche la comprensione sulle caratteristiche fisico-chimiche in cui si trova l'oggetto, in particolare sullo stato della sua superficie. Sovrapposta alla curva di luce media, si potranno individuare anche variazioni a brevissimo periodo, che rappresentano il modo in cui l'asteroide riflette la luce dal Sole e che possono tradire la forma generale o la presenza di caratteristiche peculiari sulla sua superficie. Un oggetto sferico, privo di grandi strutture irregolari sulla superficie, rifletterà la luce solare in modo uniforme; per cui non si noteranno rilevanti variazioni di luminosità nell'arco di ore o giorni. Viceversa un asteroide di forma irregolare o con particolari strutture sulla superficie (grandi e profondi crateri, strutture in grado di riflettere diversamente la luce) mostrerà delle variazioni periodiche in funzione del periodo di rotazione intorno al proprio asse: ancora una volta l'analisi della curva di luce, questa volta però nel breve periodo, permetterà di determinare la forma generale, il tipo di strutture presenti e, ovviamente, anche il periodo di rotazione intorno al proprio asse; analisi statistiche potranno poi rilevare anche se si sta osservando un asteroide singolo oppure doppio.

    Per poter affrontare in maniera adeguata questa tipologia di ricerca è necessaria una strumentazione più che adeguata: oltre a un buon strumento ottico, un'ottima montatura equatoriale e più o meno le stesse attrezzature viste per lo studio astrometrico degli asteroidi, sono necessari altri accessori specifici per la fotometria: in particolare sono fondamentali i filtri fotometrici del sistema standard UBVRI. Questo sistema fotometrico, originariamente noto come UBV e poi esteso anche con i filtri R e I, viene detto anche di Johnson-Morgan e prevede l'uso di filtri a banda larga per la classificazione delle stelle in base al loro colore; si tratta di uno dei primi sistemi fotometrici a essere stato standardizzato, più o meno alla metà degli anni cinquanta del secolo scorso. Le lettere originarie U, B e V indicano la magnitudine ultravioletta, blu e visuale, dove per quest'ultima si intende quella più vicina alla massima sensibilità dell'occhio umano; in seguito furono aggiunte anche R (rosso) e I (infrarosso) in modo da poter coprire una regione più ampia dello spettro elettromagnetico. La scelta dei colori iniziali verso le lunghezza d'onda più corte del blu e del violetto fu dovuta al fatto che, all'epoca dell'introduzione del sistema, venivano usate lastre fotografiche particolarmente sensibili a questi colori. Il valore zero delle scale B-V e U-B è assunto dalle stelle di classe spettrale A0, che appaiono di colore bianco, come ad esempio Vega nella costellazione della Lyra.

    Se un tempo venivano usate le lastre o le pellicole fotografiche per effettuare misure fotometriche, ora l'intero lavoro viene svolto esaminando immagini derivate da sensori elettronici, CCD oppure anche dalle più recenti CMOS. L'utilizzo di fotometri fotoelettrici, che fino a diversi anni fa costituiva la valida alternativa alla fotometria fotografica, era riservata principalmente ai professionisti, per via dell'alto costo della strumentazione e delle difficoltà di utilizzo a livello amatoriale; ormai però questo tipo di strumentazione è stata completamente abbandonata. Ormai tutta l'attività di ricerca fotometrica, non solo nel campo degli asteroidi, viene svolta con camere CCD o CMOS; è fondamentale che vengano utilizzati sensori elettronici raffreddati, in modo da diminuire il più possibile il rumore di fondo dato dall'elettronica e, quindi, innalzare il rapporto segnale/rumore (SNR: Signal to Noise Ratio). Così come per i lavori di astrometria, anche nelle osservazioni finalizzate all'analisi fotometrica è fondamentale ottenere delle immagini stellari più puntiformi possibile e, anche in questo caso, occorrerà modulare opportunamente i tempi di esposizione al fine di ottenere immagini puntiformi anche per i corpi asteroidali dotati di moto proprio rilevante. In ogni caso, così come visto precedentemente, le immagini sia delle stelle sia degli asteroidi non saranno mai realmente puntiformi sul sensore elettronico: soggetti agli effetti della turbolenza atmosferica (seening), dalle caratteristiche ottiche del sistema, dalle vibrazione di origine meccanica da parte del tubo ottico e della montatura, ogni sorgente luminosa apparirà come un dischetto luminoso avente un diametro proporzionale a come il sensore CCD o CMOS interpreterà la luminosità apparente della sorgente stessa. A rigore si può dire che la distribuzione della luce sul sensore può essere descritta da una superficie gaussiana; dove la maggior parte dei fotoni si concentra un disco di qualche pixel di diametro, saturandoli completamente, e un'altra parte si distribuisce nelle immediate vicinanze, diminuendo progressivamente d'intensità.

    Una volta che le immagini digitali siano state calibrate con i relativi dark frame, bias e flat fields, possono essere passate all'esame fotometrico tramite appositi software e seguendo le opportune metodologie: il metodo più comune per l'analisi delle immagini è quello chiamato fotometria d'apertura: al dischetto luminoso da esaminare viene sovrapposto un anello digitale avente un diametro tre volte la larghezza a mezza altezza del tipico profilo gaussiano che ha la sorgente stessa puntiforme (full width at half maximum o FWHM); con 3 FWHM si è sicuri di includere praticamente tutto il segnale proveniente dalla sorgente puntiforme e raccolto dai pixel del sensore digitale. Essendo il nostro sensore un dispositivo sostanzialmente a risposta lineare, l'intensità luminosa della sorgente, espressa in unità arbitrarie, ottenuta sommando l'intensità di tutti i pixel che compongono la sua immagine sul sensore all'interno dell'anello di misura, sarà direttamente proporzionale al flusso luminoso ricevuto. A questa intensità va però tolto il contributo al segnale proveniente dal fondo cielo; questo valore si ottiene leggendo il valore dell'intensità dei pixel posti in un anello più esterno ma concentrico a quello utilizzato per misurare la sorgente, possibilmente senza altre stelle di fondo. Se si indica con B il valore del fondo cielo e con I l'intensità della sorgente, il segnale reale della sola sorgente sarà:

    $$ S = { I - B } \tag{5} $$


    A questo punto, noto il segnale S della sorgente, si può calcolare la magnitudine strumentale:

    $$ m_{str} = { -2.5 \cdot \log { S \over { Δt } } } \tag{6} $$


    dove Δt è il tempo di esposizione dell'immagine; S/Δt è una quantità proporzionale al flusso della sorgente. In questo modo si possono confrontare le magnitudini strumentali dello stesso soggetto ma riprese con tempi di esposizione diversi. Una volta misurata la magnitudine strumentale del soggetto e delle stelle di confronto si può ottenere la variazione di magnitudine del soggetto in funzione del tempo usando la tecnica della fotometria differenziale. La fotometria differenziale consiste essenzialmente nel misurare la differenza di magnitudine strumentale fra il soggetto e la media delle magnitudini strumentali di due o più stelle di confronto scelte nello stesso campo di vista. Rispetto alla fotometria calibrata, chiamata anche fotometria assoluta o fotometria AllSky, quella differenziale non richiede particolari condizioni di trasparenza costante del cielo e fornisce una buona accuratezza quando si tratta di misurare piccole variazioni di luminosità, inferiori al decimo di magnitudine, perché sia la luce del soggetto sia delle stelle di confronto attraversano la stessa massa d'aria e, se hanno colore simile, subiscono gli stessi effetti di estinzione atmosferica. In effetti, a rigore, la differenza delle magnitudini strumentali differisce di una quantità proporzionale alla differenza degli indici di colore dalla differenza delle magnitudini apparenti vere; tuttavia, specialmente nel caso degli asteroidi che riflettono la luce del Sole, gli indici di colore sono grossomodo simili a quelli della nostra stella e se anche si osserva senza filtri ma si usano come stelle di confronto quelle di tipo solare, allora le differenze delle magnitudini strumentali saranno praticamente uguali alle differenze delle magnitudini apparenti.

    Quindi, applicando il metodo della fotometria differenziale, si potrebbe in teoria fare anche a meno dell'utilizzo dei filtri fotometrici, tuttavia è sempre consigliabile il loro utilizzo, almeno del filtro V e, nello caso specifico degli asteroidi, del filtro R, in modo di standardizzare le misure e poterle poi confrontare con quelli di altri osservatori. Malgrado il sistema AllSky (fotometria assoluta) possa essere considerato quello più preciso e affidabile, viene infatti utilizzato normalmente in ambito professionale, risulta forse troppo complesso ed elaborato per gli astronomi non professionisti, specie se non molto esperti e privi di una postazione fissa da adibire a osservatorio; per questo motivo è assai preferibile utilizzare la fotometria differenziale. Se utilizzata in maniera corretta e se si segue in maniera rigorosa i principi base di analisi e riduzione dei dati, il metodo può fornire anche livelli di precisione equivalenti a qualche millesimo di magnitudine.

    Foto Amatoriali di Asteroidi

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    L'asteroide 365 Corduba fotografato la notte del 20 luglio 2012, alle ore 21:04 UT; un puntino poco luminoso al centro della foto.
    Qualunque asteroide, osservato dalla Terra, appare come un oggetto stellare, anche con telescopi molto potenti. Corduba non fa certo eccezione, anche se il suo diametro è di circa 104 km; si trova comunque su un'orbita ben lontana da quello del nostro pianeta, per cui le probabilità di collisione sono pressoché nulle. Al momento della foto l'asteroide si trovava a 269 milioni di km dalla Terra e la sua magnitudine era pari a circa 13.2, cioè circa 1.200 volte più debole della più debole stella che è possibile vedere ad occhio nudo in notte buia e senza Luna. Corduba appartiene al gruppo degli asteroidi "carbonacei", ovvero formati principalmente da composti del carbonio; riflette pochissimo la luce ed impiega quasi 4.7 anni per completare una rivoluzione intorno al Sole. Fa parte della fascia principale degli asteroidi, quella compresa tra le orbite di Marte e Giove. Corduba fu scoperto il 21 marzo 1893 da Auguste Charlois a Nizza (Francia).


    L'asteroide 456 Abnoba fotografato la sera del 20 luglio 2012 tra le 20:24 e le 20:39 UT. L'immagine è il risultato della somma di una serie di brevi riprese distanziate nel tempo di pochi minuti, fino a coprire un arco completo di 15 minuti. La velocità relativa dell'asteroide era tale che ha lasciato una traccia rettilinea, mentre il telescopio inseguiva il normale moto di rotazione terrestre mantenendo le stelle puntiformi.
    Abnoba è un enorme "sasso", di quasi 40 km di diametro, che orbita ad una distanza media di 417 milioni di km dal Sole. La sera di questa osservazione si trovava a circa 234 milioni di km dalla Terra ed aveva una magnitudine pari a 12.7. Anche esso, come il precedente Corduba, fa parte della grande fascia di asteroidi localizzata tra Marte e Giove. Era stato scoperto nel 1900 e il suo nome è dedicato alla dea celtica della Foresta Nera, protettrice delle fonti d'acqua e della selvaggina, identificata poi dagli antichi romani come Diana, dea della caccia.

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    Lo stesso asteroide ripreso però quasi due ore più tardi: è estremamente evidente il suo spostamento rispetto alle stelle sullo sfondo. Queste immagini sono state riprese con una camera CCD a colori Atik 16c, avente una risoluzione massima 640x480, abbinata a un telescopio Meade Schmidt-Cassegrain da 200 millimetri di diametro e 2000 millimetri di lunghezza focale (f/10). L'inseguimento è stato assicurato da una montatura equatoriale Skywatcher NEQ6 Pro.


    L'asteroide 2015 TB415 è una piccola roccia del diametro di circa 650 metri che si trova su un'orbita fortemente ellittica, quasi di tipo cometario, che lo porta ad attraversare l'orbita di Marte, giungendo fino ad una distanza di 584 milioni di km dal Sole, e avvicinandosi ben dentro l'orbita di Mercurio, a soli 43 milioni di km di distanza dalla nostra stella. Scoperto casualmente il 10 ottobre del 2015 e solo grazie a un grande telescopio di 1.8 metri di diametro, gli astronomi hanno quasi subito determinato che la sua orbita lo avrebbe portato ad una distanza estremamente ravvicinata con la Terra la sera del 31 ottobre dello stesso anno. 2015 TB415 fa parte del gruppo di asteroidi chiamati Apollo, dal nome del primo oggetto scoperto che possiede caratteristiche orbitali simili e di cui si è già parlato diffusamente in ptrecedenza; questi oggetti possono avvicinarsi molto al nostro pianeta, tanto da essere definiti come NEO ovvero Near Earth Objects. In realtà le probabilità che uno di questi oggetti possa impattare con la superficie del nostro pianeta è estremamente bassa: in particolare, nel caso di 2015 TB415, il massimo avvicinamento è stato di 486.000 km dalla Terra e 286.000 dalla Luna; una distanza di sicura sicurezza, sufficiente però perché anche i piccoli telescopi amatoriali lo potessero riprendere come una stellina di decima magnitudine che si muoveva molto velocemente nel cielo. L'immagine animata qui riprodotta è la somma di un totale di 300 immagini dell'asteroide ripreso dalle ore 23:04 del 30 ottobre alle 00:03 del 31 ottobre 2015, ognuna delle quali esposta per soli 10 secondi; in totale 50 minuti continuativi di fotografie con tre brevi interruzioni, necessarie per riposizionare il telescopio per inquadrare nuovamente l'asteroide che, nel frattempo, usciva dal campo visivo dello strumento.


    Per una curiosa coincidenza il passaggio ravvicinato dell'asteroide al nostro pianeta nel 2015 coincise con la giornata nota come Halloween nei paesi anglosassoni e, in generale, nella cultura immaginifica occidentale; per questo motivo l'oggetto fu subito rinominato come "asteroide di Halloween". Il fatto che stesse passando molto vicino alla Terra contribuì a creare intorno all'evento un piccolo alone di preoccupazione. Come ironia finale le immagini radar riprese dall' Osservatorio Radioastronomico di Arecibo mostrarono poi un profilo di 2015 TB415 simile a quello di un teschio in rapida rotazione intorno al proprio asse.

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    L'asteroide 714 Ulula fotografato il 5 luglio 2017 con una esposizione di 10 minuti. L'oggetto ha un diametro di 39 km e percorre la sua orbita quasi circolare ad una distanza media di 379 milioni di km dal Sole. Scoperto nel 1911, il suo nome deriva da quello di un uccello della famiglia dei gufi. In questa immagine è stata evidenziato anche un altro oggetto, la stella con numero di catalogo UCAC4-488-140297 che è una delle stelle più deboli che l'autore è riuscito a fotografare con una esposizione di 10 minuti: 16.25; quasi 20.000 volte più debole della più debole stella visibile ad occhio nudo.

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    In questa immagine l'asteroide 345 Tercidina come visualizzato attraverso un telescopio Schmidt-Cassegrain da 200 millimetri di diametro, 2000 millimetri di lunghezza focale (f/10) e una camera CCD QHY8L a colori; la foto è stata scattata il 26 luglio 2019 con una esposizione di 10 minuti. È possibile identificare l'asteroide passando il mouse sopra l'immagine: si trova leggermente in basso sulla destra, come un oggetto puntiforme di magnitudine 12.3
    In base ad alcune misurazioni ottenute in occasione di due occultazioni effettuate dall'asteroide con delle stelle, avvenute nel 2002 e nel 2005, si è potuto stabilire che il corpo celeste ha una forma ellissoidale, con dimensioni pari a circa 111 x 90 km. La sua orbita è circolare con una distanza media dal Sole di circa 348 milioni di km, per cui appartiene alla Fascia Principale degli asteroidi, tra le orbite di Marte e Giove.
    Come il precedente Corduba, anche questo oggetto fu scoperto da Auguste Charlois dall'Osservatorio di Nizza, però qualche mese prima, ovvero il 23 novembre 1892.

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    15 Eunomia ripreso il 27 luglio 2019 con una esposizione di 10 minuti attraverso un telescopio Schmidt-Cassegrain da 200 millimetri di diametro f/10; l'asteroide è visibile quasi al centro della foto e può essere agevolmente identificato passando il mouse sopra l'immagine.
    Si tratta di un corpo celeste del diametro medio di circa 250 km ma di forma sicuramente allungata, probabilmente ovoidale, come sarebbe risultato da alcune misurazioni fotometriche effettuate, che hanno permesso di rilevare una curva di luce variabile in funzione della rotazione dell'asteroide intorno al proprio asse. La sua orbita è piuttosto eccentrica e con una notevole inclinazione sul piano dell'eclittica, pari a circa 11°. L'eclittica è il percorso apparente che il Sole compie in un anno rispetto allo sfondo della sfera celeste; si tratta in effetti dell'intersezione della sfera celeste con il piano geometrico, detto piano eclittico o piano dell'eclittica, su cui giace l'orbita terrestre. Di fatto è la proiezione sulla sfera celeste dell'orbita del nostro pianeta intorno al Sole. L'asteroide si colloca nella Fascia Principale degli asteroidi, a una distanza media di oltre 395 milioni di km dal Sole; in media raggiunge una magnitudine apparente di circa 8.5.
    È uno dei maggiori asteroidi di quella regione di spazio interplanetario ed è anche eponimo della famiglia di oggetti a cui appartiene, come gli altri corpi appartenenti alla medesima classe spettrale S, di colore chiaro e composti da silicati, nichel e ferro.
    Scoperto dall'astronomo italiano Annibale De Gasparis il 29 luglio 1851, fu da lui dedicato a un personaggio della mitologia greca: Eunomia era una delle Ore, definite anche come le Stagioni, figlie di Zeus e di Temi; esse avevano la duplice rappresentazione di personificazione della legge e dell'ordine oppure dei cambiamenti stagionali; in particolare Eunomia era identificata come la legalità.

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    L'asteroide 589 Croatia fu scoperto il 3 marzo 1906 dall'astronomo tedesco August Kopff presso l'Osservatorio Heidelberg-Konigstuhl nel sud-ovest della Germania.
    La sua orbita si trova nella parte più esterna della Fascia Principale degli asteroidi, con una bassa eccentricità che la rende quasi circolare, a fronte però di una discreta inclinazione, a pari a circa 10°. La sua distanza da Sole è di quasi 470 milioni di km e compie una rivoluzione completa intorno alla nsotra stella in circa 5 anni e mezzo terrestri. Il suo diametro è, approssimativamente, di 88 km e al momento della scoperta la sua magnitudine era pari a 12.5.
    L'immagine qui presentata è stata ripresa il 27 luglio 2019, quando l'asteroide aveva una magnitudine apparente di 13.9 e si trovava a 326 milioni di km dalla Terra, prospetticamente posizionato all'interno della costellazione dell'Acquario.
    Questo oggetto fa parte di una famiglia di cui si conoscono circa un centinaio di membri, mentre la sua classificazione spettrale è abbastanza ambigua, visto che alcune misurazioni lo hanno posto nel Gruppo C dei carbonacei, mentre altre lo vedono posizionato nel Gruppo X con tipologia P nella classificazione di Tholen.

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    1136 Mercedes è un asteroide scoperto nel 1929 dall'astronomo catalano Josep Comas y Solá presso il Fabra Observatory di Barcellona (Spagna) e chiamato in questo modo dal suo scopritore in onore della sorella. Si trova ad una distanza media dal Sole di 383 milioni di km su un'orbita discretamente ellittica: fa parte della Fascia Principale degli Asteroidi e non può essere collocato in nessuna famiglia precisa. Con un diametro stimato di circa 26 km, ruota intorno al proprio asse probabilmente in circa 6 ore e mezza ma esistono altre misurazioni, più recenti, che portano questo valore a poco più di 24 ore.
    Questa foto rappresenta un buon esempio di come alcune volte le apparenze possano ingannare: l'asteroide, indicato con il nome ed una freccia e identificabile passando il mouse sopra l'immagine stessa, si trovava la sera del 30 luglio 2019 a 159 milioni di km dalla Terra ed aveva una magnitudine pari a 13.6 cioè 1.700 volte più debole della stella più debole visibile ad occhio nudo in una sera limpida, senza Luna e senza il disturbo di luci artificiali. La grossa stella in basso a sinistra ed identificata come v (Nu) Pegasi ha una magnitudine di 4.84, quindi già percepibile ad occhio nudo: essa è però distante dal nostro pianeta circa 261 anni-luce, cioe' 6,44 x 1017 km (diciamo 644 quadrilioni di km, sempre che un numero possa essere espresso in questo modo); la stella è una gigante rosso-arancio con una luminosità reale 150 volte quella del nostro Sole. Per finire, in alto sulla sinistra e indicata da una freccia, troviamo una debolissima traccia come una evanescente linea tracciata nello spazio: si tratta di una galassia, identificata con il numero di catalogo UGC 11901 di magnitudine 15.3 (5 volte meno luminosa dell'asteroide e 15.000 volte meno luminosa della stella v Pegasi) che però si trova, più o meno, a 381 milioni di anni-luce dalla Terra e contiene centinaia di miliardi di stelle. Per cercare di dare un'idea può essere utile ridurre tutti questi dati ad una semplice considerazione temporale: la luce da Mercedes ci arriva dopo poco meno di 9 minuti, da v Pegasi ci arriva dopo 261 anni che è stata emessa dalla stella e da UGC 11901 dopo 381 milioni di anni. D'altra parte abbiamo l'asteroide che sembra enorme con i suoi 26 km di diametro, poi abbiamo la stella che è 24 volte piu' grande del Sole ed infine la galassia che, come si è detto, contiene centinaia di miliardi di oggetti come il nostro Sole. Sicuramente le apparenze ingannano.

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    L'asteroide 242 Kriemhild ha un diametro di 39 km e si trova nella Fascia Principale, tra le orbite di Marte e Giove, a una distanza media dal Sole di 428 milioni di km su di una orbita lievemente ellittica; ruota intorno al suo asse in circa quattro ore e mezza e ha un capacità di riflettere la luce discretamente elevata. In questa foto, scattata il 30 luglio 2019, si trovava a circa 345 milioni di km dalla Terra ed aveva una magnitudine pari a 14.3. L'asteroide è dedicato all'eroina fiera, vendicativa e tragica, protagonista del poema epico La canzone dei Nibelunghi, nota anche come Il Canto dei Nibelunghi che ispirò tra gli altri anche Richard Wagner per la sua celebre opera L'Anello del Nibelungo.
    Nella foto, oltre a Kriemhild e identificabile passando con il mouse sopra l'immagine stessa, sono riportate anche due stelle di riferimento: le stelle HD 215860 di magnitudine 7.8 e HD 215778 di 7.6, facenti parte della costellazione di Pegaso, quasi al confine con i Pesci. Il prefisso HD sta per Henry Draper Catalogue. Questo catalogo stellare fu pubblicato tra il 1918 e il 1924 e classifica 225.300 stelle; tra il 1925 e il 1936 venne pubblicata la Henry Draper Extension (HDE) che aggiungeva altre 46.850 stelle, seguita dalle Henry Draper Extension Charts (HDEC), pubblicate sotto forma di mappe, che classificavano ulteriori 86.933 stelle. Fino ad agosto 2017 sono state classificate in totale 359.083 stelle. Il catalogo deriva la sua denominazione dal nome dell'astrofilo Henry Draper e copre l'intero cielo comprendendo stelle fino a una magnitudine fotografica di 9; le estensioni aggiunsero stelle ancora più deboli in alcune aree del cielo.

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    In questa foto, scattata il 1 agosto 2019, è stato ripreso l'asteroide 874 Rotraut, in quel momento di magnitudine 15.2 e posizionato sullo sfondo della costellazione dell'Acquario.
    Si tratta di un altro oggetto facente parte della Fascia Principale degli asteroidi, con un'orbita quasi circolare che percorre in circa 5 anni e mezzo a una distanza media dal Sole di 471 milioni di km e un'inclinazione rispetto al piano dell'eclittica di circa 11°. Si colloca quindi nella parte più esterna della fascia asteroidale e si tratta di un asteroide facente parte del sottotipo spettroscopico C (Gruppo C), di tipo carbonaceo, del diametro approssimativo di 58 km e che ruota intorno al proprio asse in 14.3 ore. Fu scoperto il 25 maggio 1917 dall'astronomo tedesco Max Wolf; il nome "Rotraut" assegnato all'asteroide è un nome proprio femminile tedesco. Questo oggetto prende probabilmente il suo nome dalla ballata Schon Rotraut (Bella Rohtraut) del poeta lirico tedesco Eduard Morike. Lutz Schmadel, l'autore del Dictionary of Minor Planet Names, venne a conoscenza della fonte di ispirazione di Wolf da comunicazioni private con l'astronoma olandese Ingrid van Houten-Groeneveld(1921 - 2015) Insieme a Tom Gehrels e suo marito Johannes van Houten è accreditata come scopritrice di ben 4.641 asteroidi, grazie all'utilizzo del telescopio Schmidt da 122 cm dell'Osservatorio di Monte Palomar., che lavorò da giovane come astronoma a Heidelberg.

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    IL 3 agosto 2019 l'autore riprendeva l'asteroide 120 Elektra con una esposizione di 10 minuti attraverso un telescopio Schmidt-Cassegrain da 200 mm di diametro aperto a f/10 e una camera CCD QYH8L.
    Scoperto il 17 febbraio 1873 da Christian Heinrich Friedrich Peters dall'osservatorio dell'Hamilton College di Clinton (New York, USA), è dedicato a Elettra, una figura della mitologia greca, figlia di Agamennone e Clitennestra.
    La sua orbita lo colloca sui bordi più esterni della Fascia Principale degli Asteroidi, a una distanza media di 467 milioni di km dal Sole, con un periodo di rivoluzione pari a circa cinque anni e mezzo.
    Si tratta di un oggetto abbastanza rilevante, del diametro di circa 182 km e con composizione che dovrebbe essere abbastanza simile a quella del pianeta nano Cerere.L'asteroide è inoltre estremamente particolare: nel 2003 il telescopio Keck da 10 metri di diametro ha individuato una piccola luna di Elektra. Il satellite, con un diametro pari a 4 km, orbita a una distanza di circa 1170 km ed è stato momentaneamente identificato come S/2003 (130) 1. Nel 2016 è stato scoperto un secondo satellite, del diametro di 2 km e nel febbraio 2022 un terzo, del diametro di circa 1.6 km con periodo di rivoluzione attorno a Elektra di 0.679 giorni.






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