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Blog di Astronomia di Massimo Dionisi

Lo strano caso di Betelgeuse

DiMassimo Dionisi

Gen 17, 2020

Nelle ultime settimane l’interesse della comunità scientifica, degli appassionati di astronomia e di una parte del grande pubblico si è rivolta verso la stella Betelgeuse nella costellazione di Orione. Il motivo scatenante di questo interesse è stata la repentina diminuzione di luminosità della stella che potrebbe far presagire ad una conseguente possibile esplosione.

Chiariamo subito che Betelgeuse è distante almeno 640 anni luce dal nostro pianeta, quindi non ci si aspettano conseguenze particolari in seguito ad una sua deflagrazione; al massimo potremmo assistere ad uno spettacolo più unico che raro, con la stella che aumenterebbe di luminosità fino forse a rivaleggiare con quella del primo quarto di luna e che sarebbe visibile anche in pieno giorno.

Andiamo però con ordine: il nome Betelgeuse deriva dall’arabo “Beit Algueze” o “Bed Elgueze” che sono una trasposizione corrotta dell’originale “Ibt al Jauzah” che si può tradurre come “Ascella del Gigante” o “Braccio del Gigante”; il gigante è la costellazione di Orione di cui la stella fa parte e che è stata da sempre raffigurata come un gigantesco cacciatore. Nelle Tavole Alfonsine, redatte nel 1252 per celebrare l’ascesa al trono di Alfonso X di Castiglia e Leòn, la stella viene chiamata “Beldengenze”, mentre Giovanni Battista Riccioli nel 1651 la chiamò “Bectelgeuze”; in quasi tutte le culture questa stella ebbe un nome suo proprio ma tutti i nomi richiamavano ai termini “braccio”, “bracciale” o “ascella”. Perfino J.R.R Tolkien ne fece riferimento, facendola chiamare dagli Hobbit della Terra di Mezzo “Borgil”, nome elfico che può essere tradotto come “Stella di Fuoco”, facendo evidentemente riferimento al suo colore; nelle opere a metà strada tra la fantascienza e il fantasy va ricordata la citazione della stella da parte di H.P.Lovecraft come sede dei “Primi Dei”.

(Cartina della costellazione di Orione, dal sito https://freestarcharts.com/ Betelgeuse si trova in alto a sinistra, Rigel in basso a destra)

(Raffigurazione della costellazione di Orione secondo Johann Bayer nella sua “Uranometria” del 1603)

Nel 1603 Johann Bayer battezzò ogni stella visibile ad occhio nudo in ogni costellazione con le lettere dell’alfabeto greco, assegnando alla più luminosa la prima lettera, alpha, e poi procedendo con l’alfabeto per quelle via via meno luminose: a Betelgeuse fu assegnata la lettera alpha, quindi per il Bayer era la stella più luminosa di Orione; attualmente non è così in quanto la stella chiaramente più luminosa della costellazione di Orione è Rigel, contrassegnata con la beta. Questo fa supporre che le variazioni di luminosità oggi alla ribalta delle cronache scientifiche non siano nuove per questa stella che, in effetti, è proprio nota per essere una variabile di tipo semiregolare con variazioni su periodi multipli sovrapposti: uno più breve che va dai 150 ai 300 giorni circa ed un’altro, un poco più regolare, che si attesta tra i 2.070 e i 2.335 giorni; in sostanza nel periodo più breve si assiste a variazioni anche repentine con sbalzi di luminosità abbastanza marcati, viceversa nel periodo più lungo la stella mantiene complessivamente una variazione di brillantezza abbastanza regolare. La spiegazione di una tale comportamento non è ancora del tutto chiara ed appare un poco complessa, tuttavia si può accennare ad una possibile interpretazione. Partiamo innanzi tutto dal fatto che Betelgeuse è una stella di tipo supergigante rossa: con il termine “supergigante” si intende proprio quello che vuol dire: è una stella colossale, del diametro complessivo di quasi un miliardo e quattrocento milioni di km, cioè 1.000 volte più grande del nostro Sole. Se mettessimo Betelgeuse al posto del Sole nel nostro Sistema Solare, potrebbe inglobare tutta la parte interna del Sistema, fino a Giove. Questa mostruosità ha anche una massa a lei degna, che dovrebbe aggirarsi tra le quindici e le venti volte la massa del Sole, nonché una luminosità effettiva di oltre 9.000 volte quella della nostra stella; se andiamo però nella zona dell’infrarosso, oltre la percezione dell’occhio umano, la luminosità effettiva risultante sarebbe pari a 135.000 volte quella del Sole. Questa stranezza trova la sua ragion d’essere nel fatto che la superficie di Betelgeuse ha una temperatura media di 3.500 gradi (il Sole 6.000 gradi) e che quindi il picco della sua emissione di radiazioni avviene nell’infrarosso con solo una piccola percentuale nella parte visibile nello spettro ottico; se potessimo vedere nell’infrarosso sarebbe sicuramente la stella più luminosa di tutto il cielo. Come conseguenza di questa emissione così fortemente spostata verso l’infrarosso Betelgeuse appare di un colore rosso-arancio, descritta da alcuni come arancione dorato e da altri come di un topazio profondo; per dirla con le parole di Robert Burnham Jr. nel suo celebre “Burnham’s Celestial Handbook”, il colore che meglio potrebbe approssimare quello della stella sarebbe quello chiamato in India “padparadaschah” utilizzato per descrivere un raro zaffiro arancione; una possibile traduzione potrebbe essere “La gemma reale del fiore di loto”, perdonando la rozza trasposizione nella nostra lingua. A fare da contrasto alla sua massa ed alle sue dimensioni, la densità media della stella è veramente bassa, praticamente quasi un vuoto assoluto più spinto di quello realizzabile in laboratorio sulla Terra; questo però genera un dubbio più che giustificato: come può un oggetto così mostruoso e così luminoso essere fatto praticamente di vuoto? C’è un trucco, ovviamente, ed è nella parola “media”: Betelgeuse è una stella supergigante e tutte le stelle di questo tipo hanno la peculiare caratteristica di avere una parte centrale estremamente densa e calda ed una esterna, più rarefatta e fredda. La parte visibile, chiamata “fotosfera”, è una delle poche osservate direttamente da Terra: normalmente le stelle sono troppo lontane e piccole perchè sia possibile osservare la loro superficie direttamente, come facciamo invece con il Sole; Betelgeuse fa però eccezione, viste le sue dimensioni colossali, anche se si trova a 640 anni luce da noi. Grazie a particolari tecniche osservative è stato possibile osservare la superficie di questa stella e si è scoperto che mostra delle enormi macchie più calde delle zone circostanti, con differenze di temperatura anche di 2.000 gradi; le macchie calde sono probabilmente create da materiale che viene spinto verso l’esterno dalle parti più interne per poi ricadere all’indietro nel cuore della stella, la responsabilità di questi moti convettivi sarebbe da attribuirsi ad un potente campo magnetico. Come conseguenza l’aspetto di Betelgeuse non è quello di un oggetto sferico ma piuttosto asimmetrico; in prossimità nella fotosfera e all’interno dell’atmosfera stellare esistono poi delle “macroturbolenze”, probabilmente collegate ai moti convettivi sottostanti, che generano a loro volta delle “superbolle” di gas incandescente ed un involucro di forma irregolare, chiamato “sfera molecolare” composto da carbonio, azoto, ossigeno, monossido di carbonio e cianuro, questi ultimi due in quantità rilevanti, e tracce di vapore acqueo. All’interno di questa sfera irregolare si formano poi delle polveri, in quanto la temperatura media è ormai piuttosto bassa e quindi gli atomi possono aggregarsi in molecole, che vengono sospinte verso l’esterno dalla pressione delle potenti radiazioni emesse dalla stella; si genera così quello che viene chiamato “vento stellare”. L’emissione di questo materiale ha come conseguenza una piccola ma costante perdita di massa da parte della stella: l’emissione non è uniforme ma si concentra in corrispondenza delle superbolle con pennacchi di gas estesi anche miliardi di km.

(Interpretazione artistica di Betelgeuse vista a distanza ravvicinata con l’irregolare e turbolenta fotosfera e i getti di materiali espulsi dalle celle convettive dell’atmosfera – da Wikipedia)

In questo scenario le irregolari variazioni di luminosità di Betelgeuse non appaiono più così tanto strane: il primo forse a rendersi conto che la stella variava in brillantezza fu Sir John Herschel nel 1836 che la seguì per molto tempo annotando cambiamenti decisi nel periodo dal 1836 al 1840, in seguito si affievolirono per ricominciare in maniera più marcata dal 1849. Nel 1894 la stella si ritrovò al massimo di luminosità e questo accade nuovamente diverse volte durante il ventesimo secolo: nel 1933 e nel 1942 Betelgeuse raggiunse una luminosità paragonabile a quella di Rigel, sempre nella costellazione di Orione e posta all’estremo opposto del doppio trapezio che forma la costellazione stessa, nel 1927 e nel 1941 la troviamo invece molto più debole, anche se sempre nella categoria delle stelle di prima grandezza. Normalmente non è solo la luminosità a variare, anche il diametro della stella cambia durante questi processi: una sorta di “pulsazione” irregolare; quello che rappresenta una novità è, invece, una contrazione del suo diametro avvenuto in tempi recenti, dal 1993 al 2009 circa, che pare essere indipendente dalle variazioni luminose. I ricercatori non sono d’accordo sulle cause che possono essere all’origine di questi recenti avvenimenti: da una parte si pensa che il fenomeno sia legato alla porzione di superficie mostrata verso la Terra, come se la stella nella sua rotazione mostrasse ora una parte più piccola di sé in quanto possiede sicuramente una forma piuttosto irregolare; dall’altra si ritiene che sia iniziata una nuova fase della sua vita e che la contrazione sia dovuta ad effetti gravitazionali a lungo termine collegati ad una notevole perdita di massa, il tutto come premessa della prossima esplosione come Supernova.

A questo punto bisogna cercare di trovare una spiegazione a tutti questi peculiari comportamenti di Betelgeuse. E’ una supergigante come più volte accennato, questo significa che appartiene a quella categoria di stelle di grande massa con vita fulgida ma breve, in senso astronomico: l’età stimata è di soli dieci milioni di anni, un attimo confrontati a quelli del più piccolo ma tranquillo Sole che ne vanta ben quattro miliardi e mezzo. Infatti più una stella è massiccia e prima consuma il suo combustibile nucleare al suo interno, l’idrogeno, trasformandolo in elio; il processo di fusione nucleare che trasforma quattro protoni, quindi quattro atomi di idrogeno senza elettroni in uno di elio è regolato dalla celebre equazione di Einsten che lega la materia con l’energia: E=mc2, questo rende disponibili colossali quantità di energia. Per le stelle come il Sole o anche poco più grandi l’intero processo di fusione viene chiamato “protone-protone” in quanto sono questi gli attori principali coinvolti; nelle stelle più massiccie, con temperature centrali più elevate, può avvenire anche un processo differente che vede coinvolti atomi di carbonio, azoto ed ossigeno ma il risultato è sempre lo stesso: creazione di elio e produzione di energia. I problemi nascono quando la stella termina l’idrogeno nel suo nucleo: se una stella non è molto massiccia e la temperatura interna non è quindi eccessivamente elevata, essa contrae il suo nucleo aumentando la temperatura centrale ed inizia a trasformare l’elio al centro in elementi più pesanti e, contemporaneamente, trasforma l’idrogeno rimanente nelle zone intorno al nucleo in elio; per controbilanciare la contrazione del nucleo la parte esterna della stella si espande, diventando così una gigante rossa. Una stella con grande massa fa più o meno la stessa cosa ma più velocemente e più in grande, con temperature interne molto più elevate; tanto elevate che alla fine comincia a trasformare elementi come il carbonio in ossigeno, neon, silicio e zolfo. Ma come se fosse trascinata da un irreversibile degrado, la stella massicia non si ferma e continua a scalare su elementi sempre più pesanti, fino ad arrivare alla produzione di nickel e cobalto dalla fusione del silicio. Questi elementi decadono rapidamente in ferro che si deposita, inerte, al centro della povera stella. E’ una situazione insostenibile per la nostra stella massiccia e, non appena si raggiunge un certo limite, il nucleo ferroso collassa in un esotico oggetto fatto solo di neutroni, di dimensioni ridottissime e di una densità elevatissima; il processo finale è estremamente rapido, forse si svolge nell’arco di un solo giorno, e genera una quantità enorme di energia, tale da far brillare la stella con una luminosità pari a cento miliardi di volte quella del Sole: la Supernova.

(Ciclo di vita di due stelle con massa diversa: tipo il Sole a sinistra e tipo Betelgeuse a destra – da Wikipedia)

Gli strati esterni della stella sono espulsi violentemente e si crea una nebulosa ricca di materiali pesanti: dal carbonio, all’ossigeno fino a tutti gli elementi conosciuti come l’oro, il magnesio e così via; questi elementi vanno ad arricchire lo spazio interstellare e saranno i mattoni costituenti i futuri pianeti e la vita stessa. Tutte le forme di vita conosciute, noi stessi come esseri umani dobbiamo la nostra esistenza alle Supernovae.

(La nebulosa Messier 1 nella costellazione del Toro, nota anche come “Nebulosa del Granchio”, residuo dell’esplosione di una Supernova vista dalla Terra nell’anno 1054 dagli antichi astronomi cinesi – foto Massimo Dionisi)

Se però la massa originale della stella è davvero molto grande e se durante tutta la sua vita non ne ha perso una quantità eccessiva, il collasso del nucleo non si può fermare e allora la stella crolla letteralmente sotto il suo stesso peso; non rimane nient’altro che la sua gravità: si è formato un buco nero, un po’ come in “Alice nel Paese delle Meraviglie”, quando lo “Stregatto Astratto” piano piano scompare lasciando solo il suo sorriso.

Considerando la massa di Betelgeuse, il suo destino di Supernova potrebbe essere già segnato ma non sappiamo quando questo avverrà. Incerto è anche l’aspetto che assumeranno le sue spoglie se come stella di neutroni o buco nero, anche se appare più probabile che sarà la prima. Di certo, come detto all’inizio, chi avrà il privilegio di assistere alla sua fine godrà di uno spettacolo incommensurabile: nel cielo, visibile praticamente ad ogni latitudine, brillerà una stella talmente luminosa che potrà forse proiettare deboli ombre e rischiarerà le notti della Terra.

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