Mancano circa due mesi e mezzo alla prossima opposizione di Marte, quando il pianeta rosso si troverà alla minima distanza dalla Terra, pari quest’anno a circa 62 milioni di km. Due anni fa, il 27 luglio 2018, l’opposizione fu più favorevole per le osservazioni in quanto il pianeta raggiunse una distanza di soli 57,6 milioni di km ed il suo disco si mostrava con un diametro apparente di 24,3 secondi d’arco, cioè circa 74 volte più piccolo della Luna Piena vista ad occhio nudo. Un’ottima situazione osservativa, considerando che la dimensione massima apparente che il pianeta può raggiungere è di 25 secondi d’arco. Il prossimo 13 ottobre Marte raggiungerà solo i 22,6 secondi d’arco, tuttavia sarà possibile effettuare interessanti osservazioni.
Il giorno 19 luglio ho potuto osservare Marte ancora distante oltre 106 milioni di km, con un diametro apparente ancora veramente piccolo, solo 13 secondi d’arco, ma che comincia comunque a mostrare qualche interessante caratteristica superficiale anche attraverso piccoli strumenti amatoriali. Il vantaggio nell’osservare questo pianeta è che si eleva moltissimo sopra l’orizzonte, permettendo di avere una finestra osservativa con ridotto disturbo atmosferico: se il seening (stabilità atmosferica) è di buon livello allora l’immagine del disco del pianeta sarà molto stabile e molti dettagli della sua superficie potranno essere visibili anche con il pianeta ancora molto distante. Chiaramente, almeno per il momento, è necessario attendere la tarda notte perché Marte si trovi ad un’altezza sull’orizzonte ottimale; l’osservazione del 19 luglio scorso è stata effettuata alle tre del mattino ora locale legale italiana, corrispondenti alle all’una tempo medio di Greenwich (Universal Time).
Lo strumento utilizzato per l’osservazione è stato uno Schmidt-Cassegrain da 200mm di diametro e lunghezza focale 2000mm (f/10) con l’applicazione di una lente di Barlow 2x che ha di fatto raddoppiato la focale equivalente del telescopio, il tutto su montatura EQ6 Pro e pilotato da computer tramite il software SkyChart (Cartes du Ciel) con driver ASCOM. Le immagini sono state acquisite tramite una Camera CCD ZWO ASI 120MC (colore) mediante registrazione di filmati AVI e poi elaborati dal software Registax 6; leggeri ritocchi finali alle immagini operati con il software di manipolazione grafica GIMP.
La fase di acquisizione video è stata effettuata con il software SharpCap 2 e la camera CCD è stata impostata ad una risoluzione 1024×600, esposizione 0,03 secondi, luminosità 10, gamma pari a 30 e guadagno (Gain) a 40.
Marte il 19 luglio 2020 01:08 UT (Massimo Dionisi)
L’immagine ricavata dall’elaborazione mi è sembrata abbastanza soddisfacente, tanto da tentare l’identificazione delle caratteristiche superficiali visibili. A tale scopo ho prima consultato il sito della celebre rivista Sky and Telescope in cui si trova una sezione “Astronomical Tools” che contiene alcuni applicativi utilizzabili online che possono essere di aiuto per gli appassionati di astronomia. Tra questi è presente l’applicazione “Mars Profiler” che permette di calcolare e visualizzare, introducendo solo data ed ora, quale parte della superficie marziana è visibile; l’applicazione utilizza anche una mappa di Marte che facilita l’identificazione delle caratteristiche visibili.
Marte ruota sul suo asse in 24 ore e 37 minuti mentre la Terra compie una rotazione in 23 ore e 56 minuti, per poter esplorare in modo esteso la sua superficie è quindi necessario protrarre le osservazioni per più ore su più giornate; considerando che tornando ad osservare Marte il giorno terrestre seguente, si vedrà una porzione della superficie leggermente “precedente”, in quanto il pianeta ancora non avrà completato una rotazione sul proprio asse. Regolandosi con la longitudine del meridiano centrale, ovvero la longitudine che attraversa il centro visibile del pianeta, è possibile con un poco di pazienza esplorare gran parte della superficie.
Altro particolare da segnalare è l’aspetto del pianeta visibile nella foto: si presenta come se fosse in fase, ricordando l’aspetto della Luna pochi giorni dopo il primo quarto. In realtà un pianeta esterno come Marte non mostra fasi, in quanto questo fenomeno è riservato solo ai pianeti interni (Venere e Mercurio) e la Luna stessa; tuttavia Marte mostra questo aspetto “gibboso” nei periodi di “quadratura”, quando cioè la direzione Sole-Terra forma un angolo di 90° con la direzione Terra-Pianeta. Solo i pianeti esterni possono avere le quadrature, quelli interni no in quanto l’angolo Sole-Terra-Pianeta non può raggiungere i 90°; inoltre l’effetto di “fase” è visibile da Terra solo per Marte, in quanto più vicino e non è percettibile sui pianeti più lontani come Giove o Saturno.
Le quadrature di Marte (da: ALPO, Association of Lunar and Planetary Observers)
Output dell’applicativo Mars Profiler per la data ed ora interessate e formattato per il tipo di telescopio utilizzato
L’immagine di Marte registrata il 19 luglio 2020 alle ore 01:08 UT con indicati i dati salienti la ripresa e una legenda della maggiori caratteristiche superficiali visibili.
In effetti esaminando sia la mappa visuale di Marte allegata all’applicativo di Sky and Telescope sia quella ufficiale dell’Unione Astrofili Italiani redatta da M. Frassati e P. Tanga tra il 1988 ed il 1999, è stato possibile identificare con sicurezza tutte le formazioni riportate come legenda nell’immagine. Particolarmente interessante è la regione scura nel Mare Australe marziano che appare come un “collare” della calotta polare sud.
L’inclinazione dell’asse di rotazione marziano, che è molto simile a quello terrestre e pari a circa 25°, e il fatto che all’avvicinarsi del pianeta al punto della sua orbita più vicino al Sole (perielio) rivolga verso quest’ultimo l’emisfero sud, ha fatto sì che lo scorso 19 luglio fosse in evidenza proprio l’emisfero meridionale del pianeta, già ampiamente avviato nella sua stagione primaverile e che comincia ad affacciarsi nella breve e calda (relativamente parlando) estate. Si tratta di un’altra situazione analoga a quella terrestre, dove al perielio il nostro pianeta mostra al Sole il proprio emisfero meridionale che si trova quindi in estate mentre nell’emisfero settentrionale è pieno inverno; sul nostro pianeta questo avviene nei primissimi giorni di gennaio, su Marte l’istante del perielio nel 2020 cadrà il giorno 3 agosto.
La calotta polare sud era quindi ancora ben evidente il 19 luglio, anche se destinata a diminuire in maniera drastica nel giro di pochi giorni con l’avanzare della stagione estiva, anche se non scompariranno completamente: questa calotta è composta da ghiaccio di anidride carbonica (detto “ghiaccio secco”) e ghiaccio d’acqua e il suo spessore dovrebbe non superare gli otto metri. L’estensione apparente della calotta polare, desunto dall’immagine, non dovrebbe discostarsi molto da un valore di 4 secondi d’arco, considerando la distanza dal pianeta l’estensione reale potrebbe essere poco più di 2.000 km. La formazione del “collare” intorno al bordo della calotta polare all’interno del Mare Australe è probabilmente legata al cambiamento stagionale in atto nell’emisfero sud, con l’innescarsi di venti che trasportano polveri e che modificano l’apparenza dei paesaggi. L’inizio della stagione estiva e l’innalzamento delle temperature potrebbero anche creare le condizioni per la formazione di grandi tempeste di sabbia, come già osservato in passato per altre opposizioni avvenute con Marte prossimo al perielio. Nel frattempo l’emisfero nord si avvia verso un rigido inverno che vedrà accrescere la sua calotta polare; nelle prossime settimane, proseguendo Marte il cammino sulla sua orbita fino alla data dell’opposizione del 13 ottobre e modificandosi quindi la prospettiva con cui lo potremmo osservare da Terra, diventerà osservabile anche una parte dell’emisfero settentrionale.
Tutte le regioni identificate nella foto sono ben note agli abituali osservatori di Marte ed alcune rappresentano dei punti di riferimento fondamentali. Ovviamente quello che si osserva attraverso un telescopio amatoriale da Terra non corrisponde alla reale superficie marziana, per via della bassa risoluzione raggiungibile con piccoli strumenti e per la presenza dei disturbi atmosferici terrestri che tendono a falsare pesantemente le osservazioni. Quello che si osserva è in realtà una serie di luci ed ombre, a cui l’occhio umano tenta di dare un’organizzazione geometrica: da questo possono scaturire equivoci e malintesi, come quello storico dei “canali di Marte” avvenuto tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. Nel 1877 il grande astronomo italiano Giovanni Virginio Schiaparelli sfruttò l’opposizione del pianeta per tracciarne una mappa dettagliata, usando un telescopio rifrattore da 220mm dell’Osservatorio di Brera a Milano. All’epoca l’osservazione planetaria, anche professionale, era interamente svolta visualmente e le mappe planetarie venivano disegnate a mano, cercando di riportare quanto più fedelmente possibile quanto l’occhio riusciva a scorgere nell’oculare del telescopio; abilità e padronanza nel disegno, insieme ad una ottima acutezza visiva erano caratteristiche indispensabili per un buon astronomo. Per via di una serie di coincidenze ed illusioni ottiche Schiaparelli pensò di scorgere una serie di linee che collegavano le regioni più scure della superficie marziana e li interpretò come depressioni naturali in cui confluiva acqua in seguito allo scioglimento stagionale delle calotte polari. In effetti l’apparizione di queste linee e il loro progressivo rafforzarsi sembrava proprio legato ad un ciclo stagionale di questo tipo. Schiaparelli pubblicò il suo lavoro e il termine “canali” con cui aveva identificato quelle apparenti depressioni venne tradotto come “canali artificiali” in inglese (“canal” anziché il generico “channel”) e che fece quindi pensare a delle strutture costruire da creature intelligenti impegnate nella creazione di un sistema di irrigazione planetario per fronteggiare una terribile siccità. L’astronomo americano Percival Lowell riprese il lavoro di Schiaparelli e lo ampliò, utilizzando telescopi da 300mm e 450mm di diametro ma ripetendo gli stessi errori fondamentali dell’astronomo italiano, anche se erano entrambi in buona fede. Le mappe di Marte furono così tracciate come un fitto intrico di canali: in realtà osservazioni seguenti compiute con strumenti otticamente migliori rivelarono chiaramente che quelle linee viste dagli astronomi altro non erano che illusioni ottiche derivate dall’interpretazione che il cervello forniva per delle immagini di chiazze chiare e scure molto ravvicinate recepite dall’occhio.
Tuttavia il mito di intelligenze aliene su Marte rimase nell’immaginario popolare e fu fonte per tutta una serie di racconti di fantascienza, tra cui il più celebre è sicuramente “La Guerra dei Mondi” di H.G. Wells. Al di là dello sfortunato episodio dei canali, la mappa tracciata da Schiaparelli e la nomenclatura delle formazioni marziane rimase come standard e viene usata ancora oggi, malgrado siano oggi disponibili mappe estremamente dettagliate ottenute dalle sonde inviate sul pianeta dal 1964 fino ai nostri giorni.
Una cartina che può essere utilizzata come un buon riferimento sia per le caratteristiche reali del pianeta rosso sia per quelle osservabili da Terra è la mappa topografica presente su “Wikipedia” e ricavata dalle misurazioni della sonda Mars Global Surveyor (1996-2006) e dalle osservazioni della sonda Viking (1976-1982) e qui riportata:
Mappa topografica di Marte (da Wikipedia, Public Domain)
Sono state sovrapposte, su questa immagine, i nomi di tre delle formazioni identificate nella foto del 19 luglio con caratteri bianchi; in giallo altre formazioni particolarmente rilevanti della superficie marziana ma non visibili nella foto.
La regione di Syrtis Major è ben visibile nell’immagine seguente della NASA:
NASA JPL PHOTOJOURNAL (PIA00173) Public Domain
così come la sottostante regione Hyapigia:
NASA JPL PHOTOJOURNAL (PIA00181) Public Domain
E quella ancora più a sud di Hellas:
NASA JPL PHOTOJOURNAL (PIA00416) Public Domain
Ovviamente nelle foto scattate dalla Terra e con i telescopi amatoriali non sono visibili i dettagli che solo le sonde spaziali possono registrare fedelmente: quindi i grandi crateri da impatto, i solchi e crepacci scavati sia dalla lava sia da antichi fiumi, le dune di sabbia trasportate dai venti ed altri ancora sono preclusi dall’osservazione amatoriale diretta. Tuttavia il fascino dell’osservazione del pianeta rosso rimane intatto e la sfida di cercare di ricavare delle buone immagini per un soggetto così difficile si pone ogni volta ad ogni appassionato.
Massimo Dionisi
Sassari, 26 luglio 2020