Un brevissimo articolo sulla mia ultima osservazione della cometa periodica 67P/Churyumon-Gerasimenko la notte tra 8 e 9 ottobre 2021.
Nonostante le difficoltà dovute alle avverse condizioni meteorologiche, in maniera del tutto fortuita sono riuscito a trovare una breve finestra di visibilità nella regione della costellazione del Toro, a breve distanza dalla nebulosa Messier 1 (Crab Nebula), dove si trovava in quella notte la cometa.
Ho utilizzato il mio telescopio Newton da 250mm di diametro f/5 su montatura Skywatcher EQ6Pro, abbinato ad una camera CCD QHY8L raffreddata a -15°C e un filtro UHC per tentare di ridurre quanto possibile l’inquinamento luminoso, piuttosto fastidioso trovandomi in una locaklità suburbana alla perifieria di Sassari in Sardegna; sono riuscito a realizzare solo due esposizioni da 10 minuti l’una, poi il cielo si è andato nuovamente ricoprendo di nuvole e ho dovuto terminare la sessione osservativa.
La cometa mostrava uno spostamento apparente nel cielo di 2 primi e 40,6 secondi d’arco con un angolo di posizione di 78°, equivalenti ad uno spostamento in ascensione retta di 11,42 secondi e di 32,1 secondi d’arco in declinazione. Grazie alle straordinarie capacità del software utilizzato per la guida, PHD2, abbinate a quelle dell’applicazione SkyChart (Cartes du Ciel) che impiego per pilotare la montatura, mi è stato possibile guidare in automatico sulla cometa impostando il suo moto proprio che si andava a sommare alla normale rotazione apparente della volta celeste.
Il risultato è visibile nell’immagine pubblicata, dove la cometa appare ferma, mentre le stelle sono dei segmenti di lunghezza proporzionale allo spostamento della cometa stessa, anche in base ovviamente alla focale del telescopio utilizzato.
La magnitudine della cometa doveva essere intorno alla decima, mostra una chioma netta e definita e una coda piuttosto evidente. Il campo inquadrato dalla combinazione telescopio + camera CCD è di 64,9 x 43,45 primi d’arco e la risoluzione dell’immagine è di 1,28 secondi d’arco per pixel.
La 67P/Churyumov-Gerasimenko è una cometa periodica scoperta nel 1969 con un periodo orbitale di circa 6 anni e mezzo che raggiunge una minima distanza dal Sole di 185,8 milioni di km mentre alla distanza massima si spinge fino a 850 milioni di km dalla nostra stella. Questo oggetto era stato scelto come obiettivo della missione Rosetta dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA): già dal 2003 il Telescopio Spaziale Hubble era stato utilizzato per iniziare una campagna osservativa mirata a raccogliere quanti più dati possibili in preparazione della misisone e gli astronomi erano anche riusciti a costruire un modello tridimensionale della cometa; nel 2014 poi la sonda, equipaggiata anche un modulo di atterraggio. Inizialmente la missione prevedeva la raccolta di campioni dalla superficie del nucleo cometario e il ritorno della sonda sulla Terra, tuttavia per problemi di costi e di tecnologie disponibili, si è dovuti ripiegare sulla sola osservazione tramite il modulo principale della sonda in orbita intorno alla cometa da agosto del 2014 a dicembre 2015 e sull’atterraggio del lander, denominato Philae, che doveva fornire immagini e dati scientifici dalla superficie. La missione si è svolta, in linea di massima, così come era stata prevista con qualche inevitable inconveniente tecnico, come può accadere in situazioni così complesse: gli strumenti a bordo del modulo orbitale hanno rivelato che il nucleo della cometa è un oggetto di forma irregolare, apparentemente composto da due corpi (detti lobi) che si sono uniti insieme moltissimo tempo fa e che hanno dimensioni rispettivamente di 4,1 x 3,2 x 1,3 km e 2,5 x 2,5 x 1,0 km. Nell’insieme ricorda moltissimo l’asteroide 486958 Arrokoth, chiamato anche Ultima Thule, fotografato dalla sonda americana New Horizons nel 2019.
Il modulo di atterraggio Philae è poi realmente atterrato sul nucleo cometario nel novembre 2014, inviando immagini e dati dalla superficie: purtroppo la sua autonomia rimase molto limitata in quanto ebbe la sfortuna di atterrare in una zona in ombra, dove non potè più ricaricare le sue batterie con i pannelli solari. Nel complesso però la missione fu un grande successo e stabilì diversi primati.
Massimo Dionisi